Struttura del linguaggio poetico.

Partendo dalla considerazione che il linguaggio scritto si suddivide in due categorie, prosa e poesia, l'A. si propone di ricercare le caratteristiche che permettono di distinguere l'una dall'altra. Questa ricerca sarà indirizzata non alla sostanza del testo, al suo contenuto o al suo significato, ma alla sua forma, al suo stile.
Per esempio, io posso dire "Cade la neve" oppure "Candidi fiocchi scendono dal cielo" o anche "Una bianca coltre copre il paesaggio", l'informazione contenuta in questi messaggi è la stessa, diversa è la forma nella quale sono espressi: il primo appartiene al linguaggio ordinario, alla prosa, gli altri due, a prescindere da ogni considerazione di valore estetico, possono considerarsi appartenenti al linguaggio poetico.
La poesia dunque non sta nella sostanza del messaggio, ma nel linguaggio stesso, o meglio, nella maniera in cui il messaggio viene formulato. La poesia è tale in quanto invenzione verbale, i contenuti non hanno un valore poetico intrinseco, lo acquistano solo se espressi con originali combinazioni di parole. Non vi sono argomenti poetici e argomenti non poetici: un fenomeno naturale di eccezionale bellezza può essere descritto in prosa, con linguaggio ordinario; uno squallido paesaggio di periferia può diventare una splendida poesia se descritto con combinazioni verbali nuove e insolite. "La poesia non è scienza, ma è arte, e l'arte è forma, nient'altro che forma". L'originalità del poeta non sta nelle sue idee, ma nel modo con cui le esprime.
Il linguaggio poetico dunque si oppone alla prosa, è rispetto a questa uno "scarto", ossia una deviazione, ma una deviazione voluta, codificata, un errore con un valore estetico. "...il poeta non parla come tutti. Il suo linguaggio esula dalla norma, e questa anormalità gli conferisce uno stile".
Cohen quindi prende in esame il linguaggio poetico sia dal punto di vista fonetico che dal punto di vista semantico per analizzare queste "trasgressioni" al linguaggio comune.
Il primo aspetto esaminato è la versificazione. Il termine versus, ritorno, sta ad indicare il ripetersi della frase poetica dopo ogni "a capo", esso è il contrario di prorsus, procedimento lineare, che è tipico invece della prosa.
Il verso si avvale di elementi sonori che variano secondo le lingue, in italiano vi sono molti tipi di versi che prendono nome dal numero delle sillabe da cui sono composti, quaternario, senario, endecasillabo, ecc. Talvolta i versi sono in rima, questa è l'identità, a partire dalla vocale accentata, della parte finale di due o più parole
Anche dal punto di vista grafico la poesia si distingue immediatamente dalla prosa, dopo ogni verso si va a capo, lo spazio bianco indica la pausa o il silenzio. Una poesia può rinunciare al metro o alla rima, ma nessuna, neppure fra quelle più all'avanguardia, ha mai rinunciato al tradizionale "a capo". Ed è proprio nell'andare a capo e nelle pause che si possono manifestare le prime deviazioni dal linguaggio comune.
Andare a capo significa fare una pausa: questa ha una duplice funzione, serve a prendere respiro, ma è al tempo stesso uno strumento che scandisce il discorso, lo divide in segmenti grammaticali e semantici. Leggendo un brano in prosa non si farà una pausa fra articolo e nome per esempio, o fra un nome e un aggettivo, né si spezzerà il senso logico di una frase. Le cose vanno diversamente in poesia, vi sono pause dove il senso del discorso e la sintassi non le porrebbero mai, talvolta al contrario non ve ne sono dove ci aspetteremmo di trovarle.
Vediamo questi versi di Sergio Corazzini:
Il passo degli umani
è simile a un cadere
di foglie... Oh primavera
di giardini lontani
fino a che un'immortale
stella segni il cammino.
Il secondo verso fa una pausa fra cadere e foglie. Il terzo fra primavera e di; negli ultimi due si nota una separazione fra aggettivo e nome. Lo spezzarsi di una frase a fine verso si dice enjambement. Quando invece si ha una frase che termina a metà verso, come si vede in questo esempio tratto da Salvatore Quasimodo, si ha la cesura:
Sprofonderà l'odore acre dei tigli
nella notte di pioggia. Sarà vano
il tempo della gioia, la sua furia,
In prosa, una lettura fatta con queste pause sarebbe inammissibile, in poesia al contrario sarebbe un errore non fare la pausa là dove il verso si interrompe e voler a tutti i costi ricomporre l'unità fono-semantica del discorso. La poesia volutamente tende a spezzare questa unità inserisce una pausa là dove il senso la rifiuta e non ne mette dove il senso la vorrebbe.
il verso dunque spesso è anti grammaticale. È uno scarto in rapporto alle regole del parallelismo del suono e del senso che regna in ogni prosa. Scarto sistematico e intenzionale. Sembrerebbe che il poeta voglia intenzionalmente indebolire le strutture del discorso.
Anche la rima va nella stessa direzione, vediamo perché. Tutte le lingue del mondo, usando pochi fonemi, possono esprimere un numero infinito di significati, ciò risulta molto economico, ma inevitabilmente porta alla creazione di parole omofone (uguali nel suono, ma diverse nel significato) o di parole simili.
Nella scrittura in prosa queste parole vengono accuratamente evitate, la rima è imbarazzante, gli omofoni che possono creare confusione vengono sostituiti con dei sinonimi. In poesia invece si fa largo uso di parole simili nel suono quali rime, assonanze, consonanze, allitterazioni. La rima poi viene addirittura evidenziata fissando la sua collocazione alla fine del verso. Insomma la prosa affida la sua chiarezza alla differenza fonetica, rifugge dalle somiglianze, la poesia le ricerca.
Anche il metro (stesso numero di sillabe per ogni verso) e il ritmo (distribuzione degli accenti) che conferiscono ripetitività sonora al testo, sono elementi discordanti rispetto alla prosa, questa ha frasi di diversa lunghezza fra di loro ed evita il "cantilenare" che è proprio del verso.
Dopo aver analizzato le differenze fonetiche fra prosa e poesia, Cohen prende in esame quelle relative al livello semantico. In particolare egli si sofferma sul rapporto che i significati hanno fra loro.
Ogni frase è composta da elementi lessicali ciascuno dei quali ha una funzione grammaticale precisa. Affinché il messaggio sia intelligibile, il rapporto fra questi deve essere corretto anche sotto l'aspetto semantico. Consideriamo questi esempi: 1) Il bambino piange 2) Il numero piange 3) Il cielo piange. Tutte e tre le frasi sono corrette dal punto di vista grammaticale. La prima lo è anche dal punto di vista semantico; la seconda è assurda ed anche la terza lo sarebbe se ne considerassimo solo il significato letterale, in un contesto poetico invece diventa comprensibile: si tratta infatti di una metafora. In poesia si riuniscono in una frase termini incompatibili, accostamenti che sarebbero assurdi nel linguaggio comune.
Un'altra deviazione del linguaggio corrente, largamente praticata dalla poesia, è l'inversione delle parole. Consideriamo questi celebri versi:
Sempre caro mi fu quest'ermo colle
[...] Così tra questa immensità s'annega il pensier mio
Ora proviamo a ristabilire l'ordine "giusto" delle parole:
Quest'ermo colle mi fu sempre caro
Così il mio pensier s'annega in questa immensità
Il senso non cambia, ma la poesia è morta, ogni commento è superfluo.
In questi versi troviamo anche un enjambement: pausa fra questa e immensità; e una metafora : s'annega il pensier mio).
L'analisi precedente può dunque essere così sintetizzata: la differenza fra prosa e poesia è formale, non contenutistica o ideologica. Consiste nei particolari rapporti che si istituiscono tra il significante e il significato (livello fonico) e fra i significati fra loro (livello semantico). Queste relazioni sono di tipo "negativo" perché costituiscono violazioni del codice linguistico normale. Non si deve però dedurre che sia sufficiente la trasgressione per scrivere un'opera poetica. Sia la frase assurda che la frase poetica presentano una non pertinenza di senso, ma la prima non è riducibile in nessun caso alla comprensione, la seconda si.
Lo scarto in poesia è un errore voluto, che ha lo scopo di suscitare la sua stessa correzione da parte del lettore. Il senso viene ripetutamente perduto e ritrovato. Con il termine senso si deve intendere sia l'oggetto designato che il fenomeno mentale attraverso il quale esso viene appreso. Riferendomi allo stesso fenomeno atmosferico io posso dire "piove" o "il cielo piange", l'oggetto rimane lo stesso, cambia invece il modo di approfondimento del soggetto. Nel primo caso si può parlare di "senso prosaico" o di funzione denotativa del linguaggio, nel secondo di "senso poetico" o di funzione connotativa. Il senso denotativo è incapace di spiegare la frase poetica, questa ha un diverso livello di intelligibilità perché il suo codice si fonda sull'esperienza interna, emozionale.