Salgari, torturatore immaginario
Oggi il vostro adorabile Tarlo vi propone la riscoperta di uno scrittore che di certo ha accompagnato molte remote e piacevoli giornate dei suoi lettori più stagionati: Emilio Salgari. Per farlo inizia con un delizioso raccontino che si trova in un libro di inediti di Wisława Szymborska, Racconto antico, recentemente pubblicato da Adelphi:
Un libro che nessuno aveva mai letto decise di leggersi da solo. Così si sedette comodamente in poltrona, si aprì e, sfogliandosi pagina dopo pagina, si immerse nella lettura. E la lettura si rivelò così appassionante che il libro non seppe resistere alla curiosità e volle sbirciare la fine. Ma - orrore! - le ultime due pagine erano sparite. Ne era rimasto solo qualche pezzetto tutto strappato, con tracce di piccoli denti di topo. Allora il libro si ricordò che, in effetti, la notte c'era qualcosa che lo rodeva.
Mi chiederete: ma cosa c'entra il roditore della poetessa polacca con Salgari? A parte la simpatia per il collega roditore, un topolino di cui peraltro l'autrice, nella morale che chiude il racconto, auspica crudelmente l'uccisione, apparentemente ben poco, se non fosse per un modestissimo ricordo autobiografico. Fin da piccolo amavo i libri, come naturale per un Tarlo, ma a casa mia non c'era molto da sbizzarrirsi; vi si trovava:
- una collezione quasi completa di Delly, scrittore amato da mia madre e che ho letto diligentemente in una tediosa estate della mia lontana adolescenza;
- un paio di libri per ragazzi: Pinocchio e il detestabile Cuore.
Qualcosa di meglio era però reperibile in un armadio in cantina in cui mio padre conservava alcuni impolverati romanzi d'avventura. Lì ho scoperto il tesoro: Tarzan, Mowgli, Sandokan. Tra i libri di Salgari si trovava anche un romanzo assolutamente minore: La Stella dell'Araucania. Ebbene, allora non ero riuscito a leggere come finisse perché mancavano proprio le ultime pagine del libro, divorate da qualche minuscolo roditore o impiegate in modo sacrilego per accendere la stufa di mia nonna. Per chi fosse curioso di leggerlo, fino alla fine, il libro è oggi facilmente reperibile e scaricabile, insieme a molti dei suoi altri ottantuno romanzi:

Un ragazzino curioso, leggendo Salgari, capiva subito l'enorme differenza dagli altri scrittori di libri per ragazzi. Anche un critico in erba sentiva subito che sia la sbrigliata fantasia di Pinocchio che la mozione al sentimento, all'eroismo e al pianto del Cuore erano sempre al servizio di un robusto impegno formativo: stai attento Pinocchio, vergognati Franti! In Salgari invece è del tutto assente un programma pedagogico, i suoi eroi non vogliono indottrinare al patriottismo o all'autoritarismo ma sono spesso dei romantici fuorilegge anticolonialisti. Un aspetto in particolare fa di Salgari l'antitesi di ogni educatore conformista con una vera e propria passione per la descrizione delle torture. Ne troviamo di tutti i tipi, in quasi tutti i suoi romanzi. La famosa tortura della goccia cinese è applicata da un pirata barbaresco sul barone siciliano Carlo di Sant'Elmo, protagonista del romanzo Le pantere di Algeri:
Subito il barone sentì l'impressione di una larga goccia d'acqua gelata che gli cadeva in mezzo alla testa, percuotendo con rumore il piccolo disco privo di capelli. Impallidì e per un istante chiuse gli occhi. Quella goccia era stata per lui una rivelazione. Ora comprendeva le parole dette dal terribile capitano generale delle galere e, forse per la prima volta in vita sua, si sentì invadere da un pazzo terrore. Voleva dunque, quel torturatore di cristiani, forargli il cranio lentamente, colla goccia continua? Quale spaventevole supplizio aveva inventato il genio infernale di quel barbaro? Guardò Culchelubi cogli occhi dilatati dallo spavento. Il capitano generale pareva che non facesse più attenzione a lui. Fumava tranquillamente seguendo cogli sguardi distratti le nuvolette di fumo, vuotando di quando in quando un bicchiere di vino di Spagna ad onta delle proibizioni del Profeta, mentre i due negri, sempre immobili e sempre silenziosi, avevano ripreso il loro posto presso il divano, appoggiandosi sulle loro larghe scimitarre. Le gocce intanto si succedevano alle gocce, cadendo con lentezza misurata, regolate senza dubbio dalla canna e battendo sempre nello stesso punto, non potendo il barone, in causa della cinghia che gli stringeva la fronte, fare il menomo movimento. Dapprima il disgraziato giovane aveva provato, anziché un tormento, un certo senso di benessere. Quell'acqua freschissima, anzi gelata, che gli scorreva lungo i capelli bagnandogli a poco a poco il corpo ed inzuppandogli le vesti, non era certo disgradevole col caldo che regnava giù nella galleria, esposta all'ardente sole africano; ma dopo un quarto d'ora aveva cominciato a sentire dei brividi e una irritazione nervosa che diventava sempre più acuta, mentre provava agli orecchi un ronzio strano. Quella semplice goccia gli pareva che diventasse più pesante di minuto in minuto e che gli percuotesse il cranio con maggior forza, come se il liquido si fosse tramutato in mercurio. Quei colpi si ripercuotevano sul suo cervello con intensità dolorosa la quale aumentava sempre, impedendogli perfino di pensare. Nelle cellule cerebrali regnava una confusione strana.

Leggiamo più volte della sempre efficace tortura delle formiche, ad esempio in Il tesoro della montagna azzurra o in Il re del mare:
Siccome rifiutavo ostinatamente di rispondere, quei miserabili mi gettarono in una buca che era prossima ad un formicaio, mi legarono per bene, poi mi fecero sul corpo alcune incisioni onde il sangue uscisse. - Briganti! - Voi sapete, signor Yanez, quanto sono avide di carne le formiche bianche. Attirate dall'odore del sangue non tardarono ad accorrere a battaglioni e cominciarono a divorarmi, vivo, pezzetto a pezzetto.
In Salgari anche i "buoni" ricorrono spesso a torture nei confronti di chi se lo merita e si rifiuta ostinatamente di parlare. Ad esempio, troviamo Yanez e Kammamuri che ne applicano una particolarmente curiosa nel romanzo Il Bramino dell'Assam. Nel capitolo I furori dei filosofi i nostri eroi hanno catturato un sedicente bramino che vogliono far confessare. Dopo averlo legato nella cella di un sotterraneo vi fanno introdurre sei arghilah, uccellacci grandi come un uomo che, a quanto afferma Salgari, la gente del luogo chiama anche filosofi. Questi trampolieri emettono versacci assordanti, e tanto più strillano e diventano aggressivi quanto più, chiusi in quella prigione, sentono i morsi della fame e della sete. Il malcapitato prigioniero è costretto a subirne le urla, sempre più accanite, sgraziate, insopportabili. Altre torture prevedono l'impiego di particolari strumenti, del fuoco, la sepoltura nella sabbia, la decapitazione in sella, l'impalamento, e così via. Nella tortura dei "diecimila pezzi" la pelle viene strappata in listarelle dal corpo che viene poi tagliuzzato in un numero indefinito di frammenti. Chi desideri un catalogo (quasi) completo delle torture salgariane si può rivolgere al libro Suppliziario salgariano, a cura di Santi Urso, pubblicato nel 2011 da Zandonai, dove ne sono descritte sessantotto. Io consiglio comunque i romanzi originali dove, tra uno sbudellamento, gocce d'acqua sul cranio e formiche carnivore, succedono anche altri avvenimenti. Su Salgari e specialmente sulle sue opere meno conosciute magari si parlerà in una futura occasione.

DrRestless (Roberto Gerbi)