Raymond Isidore e la sua cattedrale

Questa è la storia, vera, di Raymond Isidore, detto Picassiette, da Picasso e assiette, piatto in francese. Uomo semplice, dai molti umili mestieri, durante la seconda guerra mondiale e nel periodo immediatamente successivo dedica il suo tempo e la sua bizzarra fantasia a decorare la propria casa di Chartres, ricoprendola interamente, di mosaici policromi ricavati da ogni sorta di cocci, frammenti, schegge di piatti e stoviglie varie purché di ceramica.. Egli realizza una cattedrale alternativa, povera, costruita con materiali di scarto, ma ugualmente fastosa. Di quest'opera straordinaria si può trovare abbondante documentazione fotografica su internet. Franzosini è uno scrittore appartato, poco noto al grande pubblico, lontano dalle consorterie letterarie alla moda, dai premi di dubbia attendibilità, dalle classifiche volgari dove il valore sta nel più venduto. La sua scrittura è sofisticata e labirintica, ricca di lunghi incisi e di continui rimandi colti. Io, che sono una lettrice piuttosto veloce, sono tornata indietro più volte per apprezzare appieno la bellezza e il senso di una frase. Occorre inoltre essere forniti di un sostanzioso bagaglio culturale per districarsi fra tutti i richiami, letterari, musicali, artistici storici, di cui l'opera straripa. Confesso di aver consultato spesso Wikipedia. Consiglio il libro, ma con l'avvertenza che non si tratta un prodotto di consumo, ma per amatori, per chi apprezza i libri che rimandano ad altri libri in un gioco caleidoscopico ed esaltante.

Sfogliando il libro
Una montagna sorgeva alla periferia di Chartres, come alla periferia di tutte le città del mondo civilizzato. Una montagna con la propria vetta, il proprio crinale, le proprie grotte, le proprie gole, i propri burroni. Uccelli arruffati e dai colori incerti eseguivano sopra di essa i loro voli a spirale, mentre, al suo interno, un popolo di topi scavava gallerie oscure e interminabili. Completamente avvolta da un vapore sozzo, in cui confluivano quegli odori molteplici che – ognuno con una propria intima, particolarissima sfumatura – hanno i resti delle cose che l'uomo consuma, gli oggetti che l'uomo abbandona, la montagna appariva come l'immagine conclusiva, l'atto finale di un naufragio gigantesco e orribile. Un naufragio che avesse rigettato su quella parte di terra un carico miserabile: mutilati canapè, vasetti che avevano contenuto la colla bianca e profumata Adhésine, ossa di pollo, stilografiche senza pennino, borsette dalla bocca spalancata, scarpe decrepite, bucce di patate, cenere di carbone, bottiglie vuote di rhum St. James, pagine di spartiti, parafulmini, avanzi di minestra, strisce di celluloide, batuffoli di ovatta, residui di vasi dalla pancia ovoidale, pietre, calce...
A ondate lente, disciplinate, regolari, gli addetti alla pulizia della città giungevano trascinando con sé una nuova porzione, lurida e triste, di quello spaventoso disastro.
A Raymond Isidore erano affidati compiti di vigilanza e di controllo, in quanto – e la cosa, che sino a quel momento ignorava, non mancò di suscitare in lui, quando la apprese, un grande stupore – c'era da parte delle autorità municipali l'incredibile impegno a voler, per così dire, districare e venire a capo di quel viluppo di oggetti, sistemare e mettere ordine in quel convulso groviglio.
Se a ciò aggiungiamo che esisteva all'epoca una bizzarra genia, misera e indiavolata, attratta da quel gran monte, la quale, trovandolo incustodito, non avrebbe esitato a prenderlo d'assalto, ecco spiegate le ragioni del mandato, duro, rigoroso, inflessibile, che Picassiette aveva da assolvere.
Nessuno, infatti, che non fosse in grado di esibire la firma del primo cittadino in calce a un lasciapassare poteva anche soltanto sperare di avvicinarsi a quel luogo. Poderose trappole venivano predisposte al fine di contrastare lo slancio e le mille astuzie di cui era capace un'orda rabbiosa che aveva fatto della spazzatura la propria ricchezza.
Chevaliers du crochet costoro fieramente si chiamavano, o anche chiffonniers , e portavano soprannomi terribili, quali Pas de chance , Tromp'la mort , Plein de puces , Mort aux gendarmes . Sudici e selvaggi, abitavano a Parigi in quartieri di maestosa miseria. Uno di tali quartieri si chiamava – ironia della toponomastica – Doré, e raccoglieva migliaia di quegli individui dentro alloggi minuscoli, nerastri e senza sfogo d'aria, in stanze dall'impiantito di assi sconnesse e dalle pareti di pietra dura.
Un altro quartiere portava il nome sonoro e lubrico di La femme en culotte, e aveva acquistato a quei tempi una certa fama per il procedimento con il quale veniva sollecitato, dai padroni di casa, il pagamento della pigione. A dire il vero, la sola richiesta di un canone d'affitto per simili stamberghe sarebbe parsa a chiunque una stravagante assurdità: eppure avveniva che, allo scadere della prima settimana di mancato pagamento, il padrone di casa desse ordine ai suoi sgherri di abbattere la porta dell'abitazione dell'inquilino moroso e di lasciarla per terra. Quando poi era trascorsa una seconda settimana senza che il proprietario fosse riuscito a riscuotere la pigione, l'ordine era di togliere, senza indugio, il tetto da sopra la testa a quegli orgogliosi cavalieri.
Sorgeva, nella piazza principale di uno di questi quartieri agli chiffonniers specialmente riservati, una taverna sinistra e senza luce chiamata Au hasard de la fourchette. Un enorme calderone di rame era posto notte e giorno sopra il fuoco; ogni ospite, sborsando un soldo, acquisiva il diritto di pescare con la propria forchetta dentro la brodaglia dalla superficie opaca, grassa e ribollente. Il caso, appunto, si sarebbe preso l'incarico di lasciare appesa ai denti delle forchette la testa di un vitello ai più avventurati, ai meno la lingua di un cane. Quei pasti terminavano con abbondanti libagioni di un micidiale intruglio detto casse-poitrine , nel quale all'alcol venivano mischiati grani di pepe, chiodi di garofano e gocce di acido solforico.
Compito degli chevaliers du crochet era, fin dal XIII secolo, quello di scovare e fare incetta di tutto quanto veniva abbandonato come guasto e inservibile, o superfluo, o inutile.
Avevano essi (quasi in virtù di un qualche magistero alchemico) la facoltà prodigiosa di vedere al di là delle cose che andavano raccogliendo, di vedere oltre quella loro temporanea e non durevole morte: di vedere insomma distintamente gli sviluppi della loro postuma esistenza. Nell'osso rosicchiato di un coniglio i loro occhi scorgevano una candela, in uno strofinaccio a brandelli distinguevano le pagine di un libro, in un nastro di stoffe per guarnizioni discernevano la stoppa con cui realizzare una gamba ortopedica. Così come, con grande chiarezza, vedevano alcuni fogli di carta trasformarsi in articoli di lacca giapponese, e le setole di una spazzola per capelli nei capelli di una parrucca, e un tubo di gomma del gas in un paio di bretelle.

Ecco dunque spiegato il motivo per cui la municipalità di Chartres ritenne opportuno dotare il locale deposito di spazzatura di un guardiano, e affidò tale delicata mansione a Raymond Isidore.
Una sera, lo sguardo di Raymond percorreva il corpo gigantesco di quella montagna di rifiuti, dai piedi sino alla vetta ormai inaccessibile.
Lo percorreva con grande lentezza, non nello sforzo di analizzare, oggetto dopo oggetto, la massa colossale di immondizie di cui esso era costituito, non per considerare quegli avanzi, quei resti, separatamente l'uno dall'altro e quindi nelle relazioni che intercorrevano fra di loro – se pure è lecito usare tale espressione parlando di quell'orrendo miscuglio –, bensì sospinto da un puro e semplice sentimento di ammirazione.
La montagna si innalzava maestosa verso quello spazio infinito che è sopra di noi e al quale i nostri occhi attribuiscono, nella luce incerta che segue il tramonto del sole, la forma ingannevole di una volta, e via via che saliva sembrava assumere un aspetto sempre più solenne. Essa, pensava Raymond, rappresentava lo sforzo supremo della materia di cui sono fatte tutte le cose del mondo per proclamare orgogliosamente che la propria sostanza non aveva nulla di pesante, di torbido, di irrimediabilmente inerte. Che c'era in essa una forza attiva. Che...
Volgendo un poco la testa verso destra, Raymond scorse in lontananza le guglie di Notre-Dame de Chartres, la cattedrale che, secondo lo storico Émile Male, altro non è se non «il pensiero del Medioevo diventato visibile».
Si rammentò che pensieri, se non proprio uguali, certo molto simili a quelli che gli aveva ispirato lo spettacolo della montagna di immondizie, li aveva letti qualche tempo prima, riferiti appunto a Notre-Dame de Chartres, in un libro che uno scrittore di fama aveva dedicato alla cattedrale. 13
Nel frattempo la luce del giorno scolorì del tutto, la luna si levò alta, e a Raymond parve che sui fianchi oscuri della montagna qualcuno avesse steso un mantello lucido e palpitante, benché cosparso di ampi buchi. Era, quello sfavillio, dovuto ai frammenti di vasellame, alle schegge di bottiglia che costellavano le pendici della montagna e che tracciavano i contorni luccicanti di figure approssimative. Si rammentò ancora, Raymond, di aver letto in un almanacco che, congiungendo fra loro i punti in cui sorgono le cattedrali che in Francia hanno nome Notre-Dame, è possibile comporre sulla carta geografica, con perfetta corrispondenza, la costellazione della Vergine tale e quale la si vede nel cielo. Si stupì per quella nuova associazione che aveva stabilito, nella propria mente, fra la montagna e la cattedrale. Ma non riuscì a trovarla sconveniente. L'innocenza degli artisti è nota. Quella di Picassiette era formidabile.
france-voyage.com/francia-guida-turismo/maison-picassiette-1048.htm
Visita alla maison Picassiette
m.youtube.com/watch?v=z870k2ccjqs
Un video che racconda la storia di Raymond e della sua folle impresa.