POESIE Vincenzo Cardarelli

Una vecchia edizione, copertina rigida, telata, marrone; sovracoperta beige, brutta carta, nome dell'autore e titolo, Poesie, impiccati in alto; appena più sotto, il nome della casa editrice, Arnoldo Mondadori, tutto in uno smorto carattere maiuscolo, il resto vuoto.
Oggi una copertina così sarebbe impensabile. Non nel 1964 anno di stampa del libro e nel quale lo ricevetti su richiesta, come regalo di Natale. Il mese successivo avrei compiuto 16 anni. Non ricordo le motivazioni della scelta; cosa abbia potuto attrarre l'adolescente che ero. Nel tempo ne ho fatto una lettura intermittente, anche per motivi professionali.
Oggi, dopo una lunga frequentazione di testi poetici, sono in grado di tentare un'analisi più consapevole, e di rammaricarmi che un poeta di tale valore sia dimenticato; nelle librerie online i suoi libri si trovano solo nell'usato, ma stranamente circolano ancora volumi di critica della sua poesia. Eppure la biografia, personale e artistica, di Cardarelli fu dolorosa, intensa e appassionata; non fu un uomo e poeta appartato, su un distaccato Parnaso, ma immerso nelle dure vicende quotidiane, e a confronto con le quelle culturali del suo tempo di cui fu lucido interprete.
Il suo stile è elegante e sobrio, privo di pretenziose ricercatezze. La sua parola, sempre puntuale, scava in profondità il malessere dell'esistere, senza mai indulgere nel compatimento dell'io, che resta discosto, con dignitoso, e mai amaro, cinismo. La misura, caratteristica del suo linguaggio, si esprime anche nelle liriche descrittive, quadri mai banali, neppure nella rappresentazione di temi convenzionali, quali la primavera, come dimostrato dalla poesia Marzo.

MARZO
Oggi la primavera
è un vino effervescente.
Spumeggia il primo verde
sui grandi olmi fioriti a ciuffi
dove il germe già cade
come diffusa pioggia.
Fra i rami onusti e prodighi
un cardellino becca.
Verdi persiane squillano su rosse facciate
che il chiaro allegro vento
di marzo pulisce.
Tutto è color di prato.
Anche l'edera è illusa,
la borraccina è piú verde
sui vecchi tronchi immemori
che non hanno stagione,
lungo i ruderi ombrosi e macilenti
cui pur rinnova marzo il grave manto.
Scossa da un fiato immenso
la città vive un giorno
d'umori campestri.
Ebbra la primavera
corre nel sangue.

Pierre-Auguste Renoir
Il risveglio della natura è evocato dallo spumeggiare del vino che, sinestesicamente, si propaga ai colori ravvivati delle piante e degli oggetti materiali - persiane, case - che squillano grazie alla funzione purificatrice del vento. Anche vecchi tronchi e muri ostentano un abito di verde nuovo. Un profondo, rinnovato respiro, scuote anche la città, permeata dagli umori campestri, profumi reali e simbolici.
La chiusa, è perfettamente simmetrica alla metafora di apertura: l'ebbrezza della vita vivifica anche il sangue dell'uomo.
La primavera, risveglio ciclico della materia vivente, ha tempi e modi indipendenti dalle leggi umane; la bellezza delle sue manifestazioni è inconsapevole di sé, ma è l'occhio di chi la guarda a renderla reale, e le parole, che la raffigurano in mille e mille combinazioni diverse, la rendono poetica.

PRIMAVERA CITTADINA
Fra tuoni allegri e raffiche puerili
la primavera mette i suoi colori
e spiega la sua bandiera
come una cerimonia militare
che si svolge con qualunque tempo.
Di giorno in giorno avanza
l'irrompente stagione.
E già la terra è piena
del suo passaggio
e del suo fresco e molle detrito.
Il biancospino è fiorito e sfiorito
aspettando la polvere di maggio.
Gli alberi che vedemmo lungo il fiume
tutto un inverno nudi
hanno le foglie nuove e i tronchi neri.
Una vita incredibile e segreta
scorre in quei fusti umidi e adorni di
sí tenera chioma.
A pie' dei vecchi muri
le prode rinverdite
son come carne d'adolescente,
e si risentono i ruderi.
Ma le orgogliose piante sempreverdi non conoscono primavera.
Decorosa tristezza di quegli alberi,
ornamento dei nostri giardini,
che ottobre non depreda
e aprile non rinnova.
Insensibili piante. Sono pari
ai monumenti cui fanno corona
e non sospirano che il plenilunio
e un usignolo che le consoli.
Qui la primavera sembra avanzare al rullo dei tamburi, chiassosa e disordinata. Irresistibile, il risveglio della vita travolge ogni cosa con la forza della sua giovinezza. Ma non tutti partecipano alla parata trionfale, in disparte, con decorosa tristezza, stanno gli alberi da giardino, sempreverdi, e perciò immutabili, le stagioni non li toccano. Che vuol dire il poeta? Che il rinnovamento passa sempre necessariamente attraverso la distruzione del vecchio? Che per rinascere bisogna morire? Questa è la legge della natura, come dice un altro poeta*
Aprile è il mese più crudele, genera
Lillà da terra morta, confondendo
Memoria e desiderio
Thomas Eliot, La terra desolata, Feltrinelli
Analoga, imperturbabile immobilità è quella dei monumenti cui gli alberi domestici dei parchi fanno corona, testimoni di un passato che non può rivivere. Il loro regno è la notte, al plenilunio si leva il canto accorato dell'usignolo** con le sue mitiche storie di morte***.
Notevoli in questa lirica i contrasti: rumorosa allegria dei temporali, accorato canto notturno dell'usignolo; alberi che mutano al passaggio della primavera, alberi che hanno solo apparenza di vita, pietrificati e insensibili alle stagioni.
** https://www.youtube.com/watch?v=VSxxyrxBWBo&ab_channel=PierandreaBrichetti
*** https://www.treccani.it/enciclopedia/filomela/