Poesia demenziale

Ingarrica è quel poeta...
La poesia è quella cosa
Che si fa con rime e versi
I suoi canti son diversi
Son d'amore per la bella
O dipingon la natura
O lamentan vita dura
Gridan gioia ed allegrezza
Sempre scritti con passion!
La tentazione era troppo forte, anch'io mi sono cimentata in un carme ingarrichiano. Spero che il Maestro, Ferdinando Ingarrica - là nei campi Elisi, ove ora dimora e suona la sua lira con altri poeti allorati (cinti d'alloro) - mi perdoni, e apprezzi la buona volontà: ho cercato di fare del mio peggio.
Sì, perché don Ferdinando, vissuto nel Regno di Napoli, fra il XVIII e il XIX secolo, magistrato devoto ai Borboni, e alla Musa (non molto corrisposto in verità) ha scritto, quasi sicuramente, i versi più brutti di tutta la storia della poesia. Ispirandosi alla forma anacreontica*, ha composto un centinaio di poesie educative destinate ai giovinetti. Be', come si dice, di buone intenzioni è lastricato il pavimento dell'inferno o, per i più dotti, eterogenesi dei fini. Leggere per credere.
Le lingue
Son le Lingue il mezzo vero
Per dar fuor la volontade,
Varie è vero in più contrade
Tu le senti favellar.
Un tal dono solo all'uomo
Iddio diè, perché Signore
Del creato il fe'; e di core
L'uom lo dee ringraziar.
Le anacreontiche di Ingarrica sono composte di due quartine in ottonari, non di rado zoppicanti, di cui l'ultimo verso è tronco. Di lui rise tutta Napoli, con grande vergogna della famiglia che, si dice, cercò di fare incetta di tutte le pubblicazioni per farle sparire. Un emblematico caso di umorismo involontario che, tuttavia, generò gran numero di epigoni, più consapevoli delle possibilità espressive di questa forma poetica, perfetta per la satira.
Scrissero anacreontiche al vetriolo i futuristi, ma anche Ettore Petrolini ne fece uso nei suoi spettacoli; la produzione non si è mai interrotta e annovera nomi di intellettuali contemporanei di tutto rispetto, uno per tutti Umberto Eco.
*Secondo la Treccani: anacreòntica s. f. [femm. sostantivato dell'agg. anacreontico]. – Odicina o canzonetta d'ispirazione leggera, amorosa, bacchica, in metri brevi e di stile vezzoso, coltivata in Italia nella seconda metà del Cinquecento e poi nel Sei e Settecento: le a. del Chiabrera, del Vittorelli, dei poeti arcadi.
Sfogliando il libro
Ingarrichiane a tema astronomico
Il sole
È il Sol l'Astro maggiore
Ver di chi la Terra gira;
La sua luce da che spira,
Giunge a noi per consolar.
Questo Astro benedetto
Ci arricchisce, ci dà vita;
Sappi pur che ancor lo Scita
Lo ritien per Deità.
La luna
È la Luna Astro secondo
Della Terra, cui si avvolge,
Che la luce a noi ne porge
Nella notte per favor.
Oltre a ciò quest'Astro agisce
Sulla Terra, men che il Sole;
Se guardiam le acque sole
Mostreran tal verità.
Le stelle
Son le Stelle ancor tant'Astri
Sparse in su nel firmamento
E si vuol con fondamento
Che altri Sol fosser ancor.
Ciò dimostra la grandezza
Di quel Dio Onnipotente;
T'inginocchia, e riverente
Vè cos'è la Umanità!
L'ecclissi
Ecclissi è quando s'incontra
Fra il Sol la Lun sovente
O fra Lun la Ter movente
E scuror ne vien qua giù.
Questo fatto sì innocente
Una volta fe' timore,
Si credea che Dio in livore
Stasse colla Umanità.