Il mare d'amore

Un libro incantevole e incantato Il mare d'amore. Eros, tempeste e naufragi nella Grecia antica di Giorgio Ieranò, un antichista divulgatore di mitologia, che al rigore dell'esposizione fondata sulle fonti, unisce la capacità di avvincere il lettore con una prosa elegante e fascinosa, in perfetta sintonia di registro con il contenuto. Il libro poggia sull'antico topos, dei lirici greci, che assimila l'amante in preda alla vertigine amorosa, all'imbarcazione sbattuta dalle onde. Il mare è periglioso, imprevedibile, crudele, misterioso, proprio come l'amore. La stessa dea dell'amore, Afrodite, è anche, ciò che è meno noto, signora dei mari e della navigazione. Il mare d'amore rende perfettamente il senso dell'instabilità dell'esistenza umana sempre in balia di tremende e insondabili forze divine. Eros come il mare, è capace di travolgere la vita degli uomini e di vanificare ogni sforzo di resistenza razionale. Una tempesta che ci può cogliere quando meno ce lo aspettiamo, proprio come quella che coglie la barca in navigazione. Ho sentito questo libro in profonda sintonia con me stessa, perché il mare è il mio elemento, ne ho subito la malia fin da quando ero molto piccola. Il mare ci fa paura: ci cerca, ci viene addosso, ci sta addosso; non si sa che c'è sotto... " Proprio questo è il fascino del mare, il suo mistero e la paura che infonde; i colori che assume, quando il cielo cambia; il mutare del suo stato, da lago tranquillo a mostro ondoso che tutto travolge; a volte è così immobile che sembra una lastra di vetro compatta. Nulla mi affascina di più del mare mosso, il sentirmi così piccola cosa di fronte all'infuriare delle onde che sembrano fiamme di un incendio liquido. E gli abissi abitati da innumerevoli creature dalla forme e dalle dimensioni più varie, il fantasticare di mostri marini, le fragili navi che salpano verso l'ignoto; da quegli abissi è nata la vita, ma quante volte il mare ha dato la morte! Sul mare sono nate le grandi civiltà. Nuotare placidamente quando il mare è amico guardare il fondo quando le acque sono limpide e il cielo nel quale volano i gabbiani che planano a pelo d'acqua per afferrare un pesce. Stare nel mare, farsi sollevare dall'acqua, è la sensazione più simile al volo, fatto a corpo libero senza strumenti, che ci possa essere. E poi cielo e mare sono intimamente legati dal colore, e dall'orizzonte che sembra unirli, ma è ingannevole, cielo e mare non possono unirsi, solo rispecchiarsi l'uno nell'altro: ecco il mare è il desiderio, l'aspirazione che si ricerca e non si raggiunge mai, quel che conta è la navigazione non il porto. I Greci, e non solo loro, hanno paragonato il mare all'Eros che travolge, di questo parla il libro e della paura che essi avevano del mare, e forse anche dell'amare che ha solo una vocale in più nella nostra lingua. L'amore è amaro come il mare si dice.
Sfogliando il libro
Eros di nuovo che scioglie le membra mi sconvolge
dolceamara invincibile belva.
Ogni singola parola di questo frammento è significativa e meriterebbe di esser discussa. A partire dalla struttura stessa della frase, dove Eros è il soggetto e la persona umana è solo l'oggetto, o la vittima, dell'azione sovrannaturale del dio. Mentre l'uso dell'avverbio «di nuovo» ( deute ), secondo una formula tradizionale nella poesia arcaica, esprime l'implacabile ed eterno ritorno del desiderio. La forza violenta di Eros, infatti, non si placa mai, è una tirannia perpetua: essa continua a ripresentarsi, inesauribile e sempre rinnovata, con la costanza di un fenomeno naturale. Nel secondo verso, Saffo paragona Eros a un animale ( òrpeton ). Cosa significhi esattamente òrpeton in questo frammento è controverso da sempre: il termine potrebbe indicare una generica belva, un serpente o, addirittura, un tafano oppure un'ape che assillano l'innamorato. Se il paragone fosse davvero quello con un fastidioso insetto volante, allora il verbo dònei non andrebbe tradotto con "sconvolge" ma con "ronza, svolazza intorno".
Come dice un altro poeta arcaico, il magnogreco Ibico, Eros è «come il vento del Nord che spira dalla Tracia, lampeggiando di fulmini». La Tracia e i suoi abitanti erano, per i greci, rappresentativi di tutto ciò che è selvaggio e violento. Non è un caso, dunque, che proprio da lassù, dalle barbare terre del Nord, soffi il vento impetuoso di Eros. Il quale, peraltro, ha la caratteristica di essere alato. Possedere le ali è una qualità che lo affratella ai demoni rapaci della morte: le Arpie, le Chere, le Sirene, lo stesso Thanatos. Indica la capacità di Eros di piombare, rapido e inaspettato, sulle sue vittime.

Se Eros, dunque, è paragonabile a un fenomeno atmosferico violento, come un vento impetuoso, non stupisce che esso appaia simile anche alla forza terribile di una tempesta marina. L'amante, scrive per esempio Pindaro, «è travolto dall'onda del desiderio» . Il verbo kymàino ("ondeggiare" o "essere travolti da un'onda") è spesso usato, come in questo caso, per descrivere uno sconvoglimento interiore, un'agitazione dell'anima. E una delle sue sfere d'applicazione è appunto quella del turbamento erotico. In latino un valore analogo ha fluctuare , per cui Catullo può dire di Arianna, abbandonata nell'isola di Nasso, che «è travolta da immani onde di angoscia», «magnis curarum fluctuat undis». Nel dominio di Eros tutto è tempestoso. Sul mare d'amore si scatenano i venti furiosi del desiderio che non lasciano scampo a chi naviga. Un altro verbo che, come kymàino , esprime sia la rabbia degli elementi sia il tumulto interiore è cheimàzo/cheimàino . Chèima è il maltempo o la tempesta. Ma «nella tempesta» si trova anche Fedra, travagliata dall'amore insano per il figliastro Ippolito. E il pothos , il desiderio, può essere appunto raffigurato come un vento che infuria (cheimàinei). La forza tempestosa di Eros rende l'uomo instabile, lo sottrae all'equilibrio della ragione. Per questo anche i filosofi punteranno il dito contro l'impulso erotico, considerandolo una delle passioni più pericolose per l'uomo, un ingombrante ostacolo lungo la via verso la saggezza. Certo, nel Simposio , Platone cerca di mostrare che la potenza di amore può anche essere positiva. Il filosofo s'inventa una mitologia alternativa, dove il demone ( dàimon ) Eros è figlio di Poros e Penia, dell'Espediente e dell'Indigenza, e rappresenta lo sforzo dell'uomo per superare sé stesso e raggiungere la rivelazione di una verità che sta oltre le apparenze. Ma lo stesso Platone, nel Fedro , ci racconta anche che, come diceva già un'antica tradizione, tradizione, Eros è manìa , possessione divina.