Lucca: una città diabolica?
Nei temi delle elementari avremmo scritto di Lucca: "ridente città della Toscana, di quasi novantamila abitanti, famosa per la cinta di mura rinascimentali che circonda il suo centro storico". Quando si entra da una delle porte della città ci si trova tra strade acciottolate, chiuse al traffico delle auto, coi negozi dalle antiche insegne dei primi del Novecento ancora conservate, con bei palazzi, belle chiese e così via. Insomma, un luogo turistico, ricco, tranquillo, quanto di più lontano possibile da quello che immaginiamo sia un ambiente frequentato da creature diaboliche e oscure. Eppure, qui non è difficile imbattersi in luoghi dove leggenda e storia si intrecciano in racconti inquietanti. Basta, ad esempio, raggiungere la sede del Museo Nazionale di Palazzo Mansi. I Mansi, arricchitisi con i traffici commerciali e la produzione della seta lucchese, esportata in tutta Europa, furono una delle famiglie più ricche e influenti dello stato di Lucca, come è testimoniato dai loro palazzi e dalle loro ville di campagna.

Lucca, Palazzo Mansi
Lucida Mansi, nacque a Lucca nel 1606, dalla nobile famiglia dei Samminiati. Lucida si sposò non ancora ventenne con Vincenzo Diversi che però fu assassinato la mattina del 14 luglio 1628: mentre passava per via Fontana, una strada del centro della città, s'imbatté in Giovanni Massoni, col quale aveva dispute per dei confini di terreni, e questi, dopo un breve alterco, lo uccise con un colpo di archibugio. Lucida era incinta del secondo figlio, che nacque con parto prematuro ma che morì pochi mesi dopo.
Vedova a 22 anni, andò ad abitare nella casa della madre, dove restò per sette anni, conducendo una vita piuttosto tranquilla, fino a quando, nel 1635, andò in sposa al ricco e nobile Gaspare di Nicolao Mansi, di dieci anni più anziano. Sappiamo ben poco della loro vita coniugale che probabilmente non fu felice, anche se non esistono documenti a riguardo; l'unica notizia certa è che non ebbero figli.
Il marito, spesso in giro per affari per tutta Europa, trascurava la moglie che conduceva una brillante vita mondana. La donna era nota in società per la straordinaria bellezza, i vestiti all'ultima moda e, come si sussurrava, le avventure galanti. Qui, finisce la storia, come viene riportata nel recente volume La signora dell'alcova, scritto da Gerardo Mansi, discendente della nobile famiglia, ma iniziano le leggende.

Lucida, dopo il secondo matrimonio, divenne La bella degli specchi, come la definisce Mario Tobino in un suo racconto. Il narcisismo la spinse a coprire di specchi le pareti dei suoi palazzi; ne fece mettere uno anche sopra il letto, a sostituire la copertura del baldacchino. Ne teneva uno, piccolo e dorato, nel suo libro da messa, in sostituzione di una delle pagine. I suoi spasimanti furono numerosi ma spesso non tornavano dopo le infuocate notti d'amore ma sparivano misteriosamente. Si narra che i malcapitati venissero precipitati attraverso una botola nascosta nel pavimento di Palazzo Mansi o forse del Castello di Catureglio, presso Borgo a Mozzano. Il pozzo era ricoperto di lame e non c'era possibilità di scampo.

La Camera degli sposi di Palazzo Mansi
Passarono gli anni ma il fascino funesto di Lucida sembrava vincere il tempo. Ma inevitabilmente, in un tardo pomeriggio d'estate, Lucida si accorse con terrore di una minuscola ruga che le solcava la fronte. Pianse disperatamente tutta la notte, imprecò, ruppe molti dei suoi preziosi specchi e, la mattina dopo, diede ordine che nessuno le facesse visita. Erano passati trenta giorni da quel momento fatale quando, improvvisamente, le comparve a lato un giovane bellissimo. Secondo alcuni l'incontro fatale si svolse presso il Ponte della Maddalena nei pressi di Borgo a Mozzano, più conosciuto come Ponte del Diavolo, perché la leggenda narra che fu costruito da lui e non su ordine di Matilde di Canossa, come è avvenuto in realtà.

Hendrick van Cleve III - Ponte della Maddalena, 1575
Dovunque sia avvenuto l'incontro, il giovane le disse: "Lucida, da vent'anni ti seguo. Sono venuto a salvarti; mi darai la tua anima e per trent'anni sarai ancora la più bella, persino le fanciulle impallidiranno di fronte a te. Devi soltanto dire sì". La sventurata… accettò. Immediatamente il diavolo, perché ovviamente di lui si trattava, scomparve e Lucida ritornò bellissima e perennemente giovane. Dopo i trent'anni pattuiti, riapparve il bellissimo giovane, che sorridendo sussurrò: "Sono venuto, Lucida!" Il diavolo trasportò la donna su un cocchio infuocato sul viale delle Mura e, all'alba, lasciando una colonna di fumo nero, il cocchio s'immerse nel laghetto che si trova oggi all'interno dell'Orto Botanico di Lucca.
Si narra che nelle notti di novilunio, a mezzanotte, si possa a volte veder Lucida percorrere le Mura sul suo cocchio infuocato e sentirne i lamenti. Il suo fantasma pare frequentare ancora l'orto botanico e il suo volto occhieggiare dalla superficie del laghetto.
Secondo un'altra versione della leggenda non vi fu alcun cocchio infuocato ma la donna sprofondò attraverso una voragine che si aprì nel pavimento della Camera degli sposi di Palazzo Mansi o in una delle sue residenze di campagna.

Il laghetto dell'Orto Botanico di Lucca
La fine della vera storia di Lucida è altrettanto triste che la leggenda. Nel 1648 esplose a Lucca una micidiale pestilenza che spopolò la città. Le famiglie più ricche trovarono rifugio nelle lussuose ville situate nei dintorni. Il freddo e le piogge invernali indussero molti a ritornare in città e, fra questi, vi fu anche Lucida che, colpita dalla peste, morì il 12 febbraio 1649. Secondo Eugenio Lazzareschi, autore di Lucida Mansi nella leggenda e nella storia, "fu sepolta subito sul far del giorno come tutti i corpi degli appestati e un breve seguito di oranti l'accompagnò, traverso il silenzio della città deserta, fino alla chiesa dei Cappuccini ove i Mansi avevano tombe gentilizie".
Gaspare Mansi si risposò nel 1651 con Luisa de' Nobili ma, ottantenne e prossimo alla morte, chiese di essere sepolto nella stessa tomba di Lucida, nella chiesa dei Cappuccini. A pochi passi da Palazzo Mansi, nella chiesa di Sant'Agostino, si trova l'affresco della venerata Madonna del Sasso, un dipinto bizantineggiante del XII secolo, cui è legata un'altra inquietante vicenda.
Cesare Franciotti, nelle sue Historie delle miracolose imagini, e delle vite de' Santi, i corpi de' quali sono nella città di Lucca, afferma che, nel XV secolo, un giocatore d'azzardo si era rivolto alla Madonna per ricevere aiuto nella vincita di una grande scommessa. Avendo perso tutto il suo denaro, quello "scelerato, et empio giocatore, per collera entrato in disperatione, tirò empiamente un sasso verso la detta Imagine, la percosse nella spalla, d'onde miracolosamente uscì sangue, di cui anco si vedono nella Imagine i segni, et le stille: Fù da pia mano con bambagia raccolta quella parte, che cadè abbasso, et fino ad hoggi si conserva in vaso decente, e si mostra a chi vuole vederlo. Seguì però subito il castigo nella persona del sacrilego giocatore, per ch[e] la terra in quell'istesso luogo apertasi (come anco hoggi si vede) vivo lo divorò rimanendo aperta per ammaestramento de' fedeli, et per segno della Divina giustitia".

Giacinto Gimignani - Miracolo della Madonna del Sasso, ca. 1648 (Chiesa di Sant'Agostino, Lucca)
Pare che l'uomo avesse avuto modo di pentirsi del suo gesto, ma che non volle farlo. Da qui nacque il detto: Sei più ostinato dello sprofondato di Lucca. A partire dalla prima metà del Seicento si tentò di misurare la profondità della buca. Daniele de Nobili afferma che i frati del convento di S. Agostino, su consiglio di un carmelitano, calarono una corda lunga più di cinquecento braccia, che ritirarono in superficie con segni di bruciature, e che spesso nella chiesa si diffondeva un odore come di zolfo.
Benedetto Giannotti (ca. 1558? -1649), che fu priore del convento, menziona una tradizione secondo la quale "molti volevano fare delle esperienze con legare cani, e con calare funi fino a 200 braccia, e tirarli su consumati fino all'osso". Proprio a proposito di quest'ultimo passaggio, aggiungeva che "i Padri antichi cavarono alcune braccia, e tirarono altrove la buca, acciò non andasse dritta" e non fosse più possibile calarvi niente dentro".
Il viaggiatore francese Charles de Brosses, che ebbe occasione di visitare Lucca nel 1739, racconta che: Agli Agostiniani c'è un piccolo buco che arriva fino all'inferno, attraverso il quale fu inghiottito quel miserabile soldato che picchiava la Vergine Maria. Sondai quel buco con una pertica per vedere se l'inferno fosse molto lontano, e lo trovai profondo solo un braccio e mezzo. Molto sorpreso di vedermi così vicino a quel brutto soggiorno, fuggii di corsa dritto fino a Pisa.
Nel 1799, una proposta giacobina dei Giuniori, uno dei due consigli legislativi della Repubblica democratica proclamata dopo l'occupazione francese, suggerì, in caso di alluvione, d'incanalare le acque del fiume Serchio nella buca di Sant'Agostino, per aiutare non solo la città e la campagna, ma gli stessi dannati dell'inferno che avrebbero così potuto godere di un po' di refrigerio.

La botola è tuttora visibile all'interno della chiesa, protetta da una lastra di ferro incernierata. Al di sopra vi è una lapide che recita in latino: "PROLUAT UT CULPAM DAT VIRGO, SANGUINIS UNDAM, AT CADIT IGNORANS IMPIUS, ESSE PIAM". ["Per lavare la colpa, la Vergine emette il flusso di sangue, ma l'empio cade ignorando che lei è clemente"].