Le città degli sciocchi 2
Nel 1818 Stendhal passò una notte, una sola notte, a Cuneo e gli bastò per bollare la città come la Beozia del Piemonte. I cuneesi stessi hanno spesso ironizzato su questa nomea della città ed è proprio a uno di loro che si deve il miglior trattato sul tema, purtroppo ormai pressoché introvabile. Piero Camilla, uomo di cultura e uomo di spirito, per trent'anni Direttore della Biblioteca civica di Cuneo, pubblicò nel 1968 "Cuneo. Storielle e storia" e da quel libro propongo qualche esempio della leggendaria stoltezza degli abitanti della "città dei sette assedi".

Burattini esposti al Museo Civico di Cuneo
La prima storiella è raccontata con poche variazioni anche da Johann Friedrich von Schönberg, a proposito degli abitanti di Schilda:
Nell'applicazione del primo piano regolatore di Cuneo era previsto l'allargamento della piazza centrale. I Consiglieri vollero parteciparvi di persona, capeggiati dal Sindaco. Dato il grosso lavoro da compiere si tolsero le giacche e si misero a spingere di lato, a più non posso, le case che chiudevano la piazza. Un mariolo, passando di lì, ringraziando per tanta manna si impossessò delle giacche incustodite. Ad un tratto il Sindaco, asciugandosi il sudore, si voltò e non vide più le giacche. Diede immediatamente l'ordine di sospendere i lavori: «Smettete di spingere, abbiamo già spostato fin troppo le case e siamo molto lontani dal centro»; «a veduma gnanca pì le giache» (non vediamo neanche più le giacche).
Tra le chiese in Cuneo la cattedrale, dedicata a Maria Assunta, ha certamente origini antichissime. Parla l'antica cronaca quattrocentesca cuneese di una cappella sorgente sul medesimo sito dedicata a S. Maria del Bosco, prima ancora della fondazione della città. Attorno alla metà sec. XVII, dopo il rifacimento del Boetto, il Comune volle lasciare imperituro ricordo della propria fattiva partecipazione ai lavori. Sulla facciata spiccava la scritta: «A Maria Assunta in Cielo a spese del Municipio».
Nei giorni di mercato, nella strada maestra, ai bei pilastri dei portici della casa comunale era costume attaccare gli animali mediante robusti anelli di ferro infissi all'uopo. Coincidendo sovente il giorno di mercato con quello del raduno del Consiglio, anche per favorire i Consiglieri del distretto, avveniva che le sedute fossero tenute in un frastuono poco simpatico. Portata la questione all'o.d.g. fu unanimemente votato ed imposto, con un visibilissimo manifesto, il divieto: «Vietato attaccare i somari di sotto per non disturbare quelli di sopra».

Alla «piola» («grosso» ristorante della Capitale) sentono ordinare: «pula e merlu». Immediatamente anch'essi ordinano la stessa cosa. Si vedono portare «polenta e merluzzo». È un piatto tradizionale, giornaliero, per la povera gente del Cuneese e non vale la pena di andare a Torino per assaggiarlo.
Alla seconda portata si fanno furbi (non per niente son venuti nella Capitale). Non appena sentono ordinare un piatto sconosciuto, un «bis», anch'essi in coro, «bis, bis». Commento finale. A völu fé i fürb, la ciamu 'n tante manère, ma l'è pöi sempre pulenta e merlüss. (Vogliono fare i furbi, la chiamano in tanti modi, ma è poi sempre polenta e merluzzo).
Di sera tardi un cuneese, sta cercando, disperatamente, qualche cosa in piazza. Si avvicina premuroso il vigile. «Che sta cercando?». «Ho perso la chiave di casa e non posso più rientrare». Anche il buon vigile si mette a scrutare il terreno palmo a palmo. Dopo un'ora chiede: «Ma è poi certo di averla persa in piazza?». «Oh mai pì, a l'èi perdüla 'n piassa d'Armi; a la cercu bele sì, perché a'j sun i lampiùn e a l'e pì ciàir». (Oh no, l'ho persa in piazza d'Armi ma la cerco qui perché ci sono i lampioni ed è più chiaro).
Una vera e propria saga è legata alle visite a Cuneo di re Vittorio Emanuele II che molto amava la città, le valli della sua provincia e soprattutto la caccia e le giovani valligiane.
Alla stazione Gesso, dal marciapiede n. 1, dal punto in cui sarebbe sceso il Re, sino all'atrio coperto, ove avrebbe ricevuto il benvenuto nella città dei sette assedi, era stato steso un fiammante tappeto rosso. Il Sindaco aveva notato, con preoccupazione, che era troppo corto per portare i passi del Re al posto giusto per la cerimonia. Il capo cerimoniere comunale lo aveva rassicurato, ci avrebbe pensato lui. Infatti non appena il Re, affiancato dal Sindaco, ebbe messo piede sul tappeto, uno strattone, dato con precisione invidiabile, portò il tappeto i n avanti, sin nell'atrio. Ma il Re, con il Sindaco a fianco, era andato a gambe all'aria.
All'albergo Reale anche la servitù è in agitazione. Per fortuna il capo cameriere è uomo di esperienza. Li riunisce e li ammaestra: «Venime daré, e fé cuma mi». (Seguitemi e fate come me). Parte una lunga processione di camerieri (e di vassoi) con intesta il capo. Nell'entrare nel salone del banchetto questi inciampa e butta all'aria vassoio e vivande. Gli altri, nessuno escluso, diligentemente lo imitano.

Il contadino, che un giorno a caccia aveva fatto amicizia col Re, gli aveva promesso di portargli, nella stagione propizia, le magnifiche mele del suo frutteto. Venuto il tempo sceglie le due più grosse e va alla reggia. Vittorio si illumina e subito ne addenta una; il contadino, tranquillo, tira fuori il suo coltellino di Vernante e si mette a sbucciare la mela. Il Re stupito: «Com'è che il tuo Sovrano le mangia così e tu no?». «Maestà, sei pi nen cula c'a I'è, c'a me scüsa, për strà, üna l'è cascame e l'è 'ndame a finì s'na büsa». (Maestà, mi scusi, non so più qual è, per strada una m'è caduta ed è finita su di una «büsa»)
Altre storielle sul difficile rapporto tra i cuneesi e il "re galantuomo", sono state raccolte da Carlo Lapucci, e riportate nel volume La Bibbia dei poveri. Storia popolare del mondo:
Quando il re annunciò la sua prossima visita, a Cuneo ci fu gran festa: si riunì il consiglio municipale e si crearono comitati; dappertutto si diceva in giro: «Dobbiamo farlo restare a bocca aperta.» Venne il gran giorno e il re, sceso dalla vettura, vide uno strano schieramento: tra guardia d'onore, autorità, fanfara erano tutti gli accalappiacani con divisa e laccio, con i becchini in alta montura davanti al carro funebre lucidato a nuovo. […] Fatti i discorsi d'occasione, a mezzogiorno preciso, nel sole chiaro, si accendono tutte le luci e, al comando del sindaco, cominciano i fuochi d'artificio. Il re rimane sbalordito. Dice il sindaco soddisfatto: «Le piacciono, maestà? N'aveva mai visti di così belli?» «A dire la verità si vedono poco!» «Sì, però sente che tonfi?» […] Alla fine si fa un gran brindisi e il re si complimenta: «Ah, ma voi, qui a Cuneo, avete veramente un vino eccellente!» «Ne abbiamo anche di migliore, maestà, ma lo teniamo per occasioni più allegre» risponde con compiacimento il sindaco. […] Si mette finalmente a dormire. Non ha finito il primo sonno che bussano alla porta. Entra una cameriera che lo fa alzare e comincia a cambiargli il letto. «Cosa succede» chiede il re? «Ho ordine di cambiargli le lenzuola ogni due ore.» «Perché?» «Il letto d'un sovrano deve essere sempre pulito, maestà!»
Altre tra le infinite storielle riguardano il Sindaco, degno rappresentante dei suoi concittadini:
Per mancanza di lavoro a Cuneo fu licenziato il boia, ma subito dopo si ebbe una delle rare condanne a morte. Fu chiesto un boia da Torino, ma la spesa era troppo alta Allora il sindaco ebbe una pensata: chiamò il condannato, gli consegnò una somma adeguata e gli ordinò d'andare farsi impiccare a Torino.
Sempre Lapucci riporta quella che è forse la storiella più famosa e divertente:
Essendo morto il vescovo di Cuneo, persona di santa vita e amato da tutti, fu deciso d'imbalsamarne il corpo e fu dato incarico a due notabili d'andare a prender contatto con un famoso imbalsamatore che abitava a Torino. I due partirono e si recarono da quello che era la massima autorità del momento in fatto d'imbalsamazione. Videro i suoi lavori, ne rimasero entusiasti, ma quando si trattò di concordare il prezzo questo risultò molto al di sopra delle disponibilità. Presero allora la via del ritorno e a mezza strada dovettero fermarsi in una taverna a mangiare. Furono loro servite due trote in carpione che trovarono squisite e si complimentarono con l'oste dicendo: «Sono ottime, freschissime…» Il taverniere fece notare che se erano buone non era perché fresche, ma perché ben conservate, essendo state pescate qualche mese prima. «E come le conservate?» «In carpione, con l'aceto.» «E quanto possono durare?» «Quanto si vuole…» I due si scambiarono un'occhiata d'intesa e la sera stessa, nel consiglio comunale di Cuneo, proposero di far a meno dell'imbalsamatore e di chiamare un oste che conoscevano loro, il quale per un prezzo giusto e conveniente avrebbe conservato altrettanto bene il vescovo in carpione.
" Non bisogna pensare che tutte gli aneddoti sui cuneesi si perdano nella nebbia del passato. Un altro celebre cuneese, il giornalista Piero Dadone, nel suo libro Provinciali di mondo, ci racconta che:
La sera del 25 luglio 2000, durante la puntata finale del Festival delle Culture del Mondo in piazza Galimberti, in qualità di animatore della serata ebbi l'onore di presentare una qualificata delegazione di Lama tibetani miracolosamente scampati a oltre trent'anni di galere cinesi. Data la coincidenza con il 57° anniversario dell'evento, si pensò di far parlare i Lama dalla medesima terrazza sulla quale l'eroe nazionale Duccio Galimberti pronunciò, il 26 luglio 1943, lo storico appello agli italiani a battersi contro il nazifascismo. Davanti a una piazza stracolma, con i fari delle televisioni nazionali puntati sull'obiettivo, il vecchio Lama si toglieva la dentiera per mostrare come gli aguzzini cinesi gli avevano strappato tutti i denti, costringendolo per anni a digiunare a pane e acqua. Intanto il buio della notte era rischiarato dall'intermittenza della rossa luce dell'insegna situata sotto il monumentale balcone, che portava scritto a caratteri cubitali "Ristorante Pechino". Era il logo retrostante del ristorante cinese, eletto a sponsor involontario della commovente cerimonia.
Dadone giunge alla conclusione che:
Forse conviene arrendersi all'evidenza: siamo fatti così. Semmai possiamo cercare di trasformare questo presunto handicap in un vantaggio. Invece che sminuire, magari è più saggio tendere a esagerare le nostre stranezze, lavorare di fantasia per ingigantire certe dicerie a tal punto da incuriosire i forestieri a venire a constatare di persona, Potrebbe rivelarsi un propellente formidabile per la nostra sempre piuttosto latente vocazione turistica. Come sta capitando con la famosa battuta di Totò: "Sono un uomo di mondo, ho fatto il militare a Cuneo", nata facendo leva sul solito stereotipo, ma ormai divenuta un segno distintivo cui molti ambiscono. Da quando è stato fondato l'Albo d'Onore degli Uomini di Mondo, che annovera quelli che hanno fatto il militare a Cuneo.

La creazione dell'Albo d'Onore degli Uomini di Mondo potrebbe a sua volta farsi rientrare a pieno titolo nel novero delle stranezze cittadine.
L'altra "città degli sciocchi" italiana, sebbene molto meno celebre di Cuneo, è la cittadina abruzzese di Campli, in provincia di Teramo. Le storielle sui camplesi sono state sempre trasmesse oralmente, fino al 1995, quando Arnaldo Giunco pubblica L'asino e il sale. La storia delle storie su Campli.

Anche questo libro è quasi introvabile, ma è consultabile in internet a questo indirizzo: https://www.marcogiunco.com/SilenzioSiLegge/AsinoESale/AESIndice.html
Vi si può trovare la più classica delle storielle camplesi che è quella della siepe piantata intorno alla torre campanaria per impedire che i naturali del quartiere di Nocella, che si erano rifiutati di concorrere all'edificazione del campanile sentissero il suono dell'orologio.
Si racconta anche che nel XIII secolo, al tempo in cui si stavano contemporaneamente edificando i campanili di Teramo e di Campli, era sorta una gara fra le due città per chi sarebbe riuscita a terminarlo per prima: però quello di Campli cresceva a vista d'occhio perché tutto il materiale era stato preparato precedentemente e perché si lavorava anche di notte. Quelli di Teramo tentarono di corrompere il Governatore di Campli che la Regina Giovanna aveva mandato direttamente da Napoli a reggere quella Università. Ma questi, burlone qual'era, non volendo disgustarsi i Teramani e non tradire i suoi amministrati, rispose che anche cogli operai ridotti di numero, il campanile di Campli cresceva di più perché lo aveva fatto annaffiare alla base.
A Campli un asino fu scoperto mentre calpestava il campo seminato. Fatto prigioniero, venne portato in pubblica piazza, e "processato". Fu condannato ad essere gonfiato per insufflazione ad opera di tutti i cittadini mediante cannello inserito nel posteriore della bestia. Per ultimo toccò al Sindaco che, conscio del suo rango, disse solennemente che mai avrebbe messo la bocca laddove altri avevano posta la loro e, con tono autoritario, ordinò di girare la cannella ("vudde cannelle").
Le storielle sulle "città degli sciocchi" sarebbero infinite, come sono infinite le città: Kempen in Olanda, Hymlä in Finlandia, Chelm per gli ebrei dell'Europa orientale, Caracal in Romania, la città fittizia di Kocourkov nella Repubblica Ceca, Mols in Danimarca, Södertälje in Svezia, Nazaret per gli antichi ebrei, Gotham in Inghilterra e si potrebbe continuare a lungo.

Purtroppo, come scrisse Jean Cocteau, Il dramma della nostra epoca è che la stupidità si è messa a pensare. Dalle pagine della rivista Rivarol gli rispose Robert Poulet: Questo non sarebbe niente se l'intelligenza non si fosse messa a rimbecillire.