In viaggio con gli dei

05.03.2025

Nostos è parola greca che significa ritorno. Reale, simbolico, multiforme, il nostos, categoria dello spirito, aspirazione per lo più inappagata, è la cifra che contrassegna la condizione umana e la vita, in tutte le sue fasi e per tutta la sua durata. Intrinsecamente legato al rimpianto il nostos diventa nostalgia, male sottile o straziante, che ci fa desiderare il ritorno ad una patria perduta, ad un luogo dove siamo stati felici, all'infanzia o alla giovinezza, ad un tempo innocente, ad un'era di prosperità, ad un amore mai dimenticato, ad una persona scomparsa per sempre. Quando le vie del nostos sono impraticabili nella realtà, ci incamminiamo per quelle dell'arte, letteratura e poesia in particolare; ma ancor prima l'umanità, in ogni epoca e ad ogni latitudine, in ogni tipo di civiltà, per i suoi nostoi ha creato i miti. Il mito, con i suoi innumerevoli racconti è la via, o meglio le vie, che l'intelletto umano ha percorso per appagare e placare i propri interrogativi, le proprie passioni, i propri desideri e le proprie nostalgie, i diversi mali del ritorno. Il nostos è il padre della cultura, così come la morte - che spinge gli umani a lasciare traccia permanente di sé negli scritti, nelle immagini, nei suoni- ne è la madre. Il nostos, o meglio la nostalgia più struggente, che si possa provare è quella per l'origine; cerchiamo una via che ci conduca, come gli antichi esploratori, alle sorgenti del Nilo, alle scaturigini della nostra stessa essenza, come individui e come appartenenti al genere umano. Questo libro è una di quelle vie, capace di condurci in un luogo reale e allo stesso tempo simbolico, la Grecia, Questa terra fatta di isole, scogliere, montagne, boschi, fiumi sul cui greto abitano ninfe e sorgenti, piane di ulivi e platani: questa terra [che] ha persino un dio Pan, per impersonare lo straniamento sospeso, il disorientamento felice che ti fa perdere la strada, e persino perdere te stesso, per sentirti parte di qualcosa di più grande...: Ma è anche ... un salto nel blu del mare e nel sole abbacinante [...], alla ricerca dei suoi dèi, degli eroi, dei miti e, anche, un po' di noi: di quel che siamo stati e, talvolta, vorremmo di nuovo essere. Alla ricerca di quel che gli antichi sapevano bene essere l'unica vera forma di eternità concessa ai mortali: quella del racconto e della memoria.
Riporto l'indice per dare un'idea del contenuto.
Creta: l'isola che danza
Pilo e Bassae: terre di vecchi re e di fratelli rivali
Olimpia: la vita come sfida
Liceo: il monte dei lupi
Epidauro: la città dei sogni
Micene: la rocca degli eroi
Corinto: cavalli e sorgenti
Delfi: conosci te stesso
Dodona e Efira: lì dove le querce e i morti sussurrano
Tempe e Verghina: la casa delle ninfe e dei re
Atene: la nave di pietra
Il faro del Sounion
Credo che sia chiaro che questo è un libro prezioso, di rara bellezza: per il contenuto, dovuto a due studiosi appassionati, per il linguaggio piano ed elegante, in perfetta armonia con il tema trattato e, non ultimo, per le belle immagini che corredano il volume.

Sfogliando il libro

RITROVARSI

Ogni viaggio in Grecia è, prima di tutto, un girovagare dell'anima. Non servono itinerari precisi, chilometraggi, cartelli stradali: si parte in compagnia degli dèi, senza bisogno di geolocalizzarci o di tracciare puntini sulle mappe.

Questa terra fatta di isole, scogliere, montagne, boschi, fiumi sul cui greto abitano ninfe e sorgenti, piane di ulivi e platani: questa terra ha persino un dio Pan, per impersonare lo straniamento sospeso, il disorientamento felice che ti fa perdere la strada, e persino perdere te stesso, per sentirti parte di qualcosa di più grande, quando l'ora della calura ti stordisce e le cicale assordano, quando vien voglia soltanto di accoccolarsi all'ombra di un albero con un pezzo di formaggio e un bicchiere di vino, come gli antichi.

Questo libro è un salto nel blu del mare e nel sole abbacinante di Grecia, alla ricerca dei suoi dèi, degli eroi, dei miti e, anche, un po' di noi: di quel che siamo stati e, talvolta, vorremmo di nuovo essere. Alla ricerca di quel che gli antichi sapevano bene essere l'unica vera forma di eternità concessa ai mortali: quella del racconto e della memoria. La parola non si corrompe con i secoli, ma la ritroviamo viva fra le pietre di Grecia.

Si parte per il piacere di andare, sapendo che perdersi in Grecia è, nella realtà, impossibile. Si parte seguendo i racconti del mito, l'orma delle divinità e degli eroi, delle principesse cretesi e delle ragazze di Atene, dei cavalli alati e dei Giganti, dei Centauri e delle Amazzoni; ascoltando la voce divina che abita il corpo della Pizia a Delfi o sussurra fra le foglie di quercia nel santuario di Dodona o, ancora, sale da una delle porte che, nell'antichità, davano accesso al mondo dei morti.

Questo non è un libro obiettivo, ma la storia di una passione: anarchica, partigiana e intensa, per la Grecia e per i suoi racconti. Una passione che talvolta si nutre di lontano, nello studio e nella scrittura; a volte, invece, è assoluto e vento e sole e profumo di macchia. Dietro questi racconti, che aspirano ad andare tra le mani di molti, c'è in fondo anche un'interpretazione della Grecia antica.

Gli autori sperano di aiutare i lettori a fare ciò che già nell'antichità facevano gli eroi, le divinità, i ragazzi e le giovani donne: tuffarsi da una scogliera ideale o reale e, con un po' di incoscienza e di serietà leggera, lasciare vagare la mente e abitare per un po' nel tempo del mito, tenendo fissi i piedi a terra e tutti i sensi in ascolto per aspettare il passaggio, invisibile, di un dio.


Delfi: conosci te stesso

Il punto di partenza più adatto per cominciare a capire lo spirito di Delfi è probabilmente la sorgente Castalia che sgorga, racchiusa in un recinto monumentale, a una svolta della strada appena prima del paese, in un angolo delimitato da due rocce scabre che alzano una parete a picco di circa duecentocinquanta metri. Sono le rupi Fedriadi ("luminose"); di lì si racconta che fossero precipitati gli empi che avevano offeso Apollo e tra gli altri (secondo una leggenda antica) anche il favolista Esopo che aveva suscitato l'ira degli abitanti di Delfi con le sue parole troppo graffianti.

Se avete la fortuna di arrivare in un giorno di luna piena, potete avviarvi di notte a piedi dal paese verso la fonte Castalia aspettando che la luna riempia il cielo della sua luce quasi abbagliante, sbucando dai monti. Vedrete in basso la piana di olivi diventare anch'essa un fiume d'argento, d'argento, e più in là scintillare un frammento di mare, un angolo del golfo di Corinto.

Le due rupi Fedriadi hanno una profonda spaccatura nel mezzo da cui cola l'acqua che alimenta la fonte e dove l'eco risuona con particolare chiarezza. Quando piove l'acqua scroscia in quel crepaccio con un salto di sessanta metri e poi scende a valle.

La forza della natura si avverte ancora in questo luogo e tanto più si avvertiva nei tempi antichi. Delfi fu il centro principale della religiosità greca, una religiosità particolare però, che alcuni chiamano "religione delfica", fatta di un misterioso incontro con la voce del dio che si rivela ai mortali attraverso l'oracolo, tra il fumo delle vittime sacrificate, nelle gare atletiche e nella poesia.

Il mistero del luogo si esalta in quel semicerchio di rocce e di boschi in cui, su alcune terrazze digradanti simili a un teatro, fu costruito il santuario. Sopravvisse sino al 390 d.C. quando l'imperatore Teodosio, ansioso di eliminare dalle radici il paganesimo, fece distruggere il luogo e le sue statue, salvo quelle che furono portate a Costantinopoli per abbellire la città.

Fonte Castalia 

Come scrive James George Frazer, "la scena è di una solennità austera e grave e ben si adatta alla sede di una grande capitale religiosa. In fatto di paesaggio non si potrebbe pensare a un contrasto più stridente di quello che esiste tra le due massime capitali religiose dell'antica Grecia. Delfi abbarbicata sul fianco scosceso di montagne desolate, con minacciosi precipizi sopra e una valle profonda sotto. Olimpia distesa sulla sponda pianeggiante di un fiume che serpeggia con ampie curve fra i campi di grano e i vigneti di una vallata ridente, tra colline dolci e boscose".

Delfi era il santuario principale di Apollo, ma non fu sempre nelle mani di Apollo. In questo luogo appartato e arcano l'uomo sentì l'alito del divino sin da epoche molto antiche, certamente pregreche. Ci sono tracce di vita a partire dal Neolitico, circa dal 5000 a.C. Sul luogo del santuario sono state trovate statuette risalenti al 1100 a.C. di una divinità femminile che profetizzava qui. Anche i Greci di epoca storica sapevano che Delfi in origine apparteneva a una dea, Gea, la Terra e poi a un'altra divinità femminile, Themis. Le profezie avvenivano attraverso i sogni. Poi arrivò Apollo.

La storia è questa. Appena nato, Apollo andò a cercarsi la sua sede e arrivò a Delfi. Qui viveva un'immensa dragonessa dalle scaglie di bronzo e dagli occhi di fuoco che custodiva il luogo sacro, nascosta in un fitto bosco di allori. Apollo era ancora un bambino che cercava il latte della madre, ma era anche un dio, il dio dall'arco d'argento. Con un solo colpo di freccia trafisse la dragonessa che agonizzò a lungo contorcendosi e sputando sangue, sinché morì. Il cadavere fu lasciato lì a putrefarsi e, siccome in greco "putrefarsi" si diceva putheîn , quel luogo fu chiamato Pito. Secondo altri, il nemico di Apollo era invece un enorme serpente chiamato Pitone.

Ma non era finita. Il santuario apparteneva allora a Themis, figlia di Gea. Adirata per la prepotenza di Apollo, Gea iniziò a far uscire dal suolo i sogni, a centinaia, simili a nubi che svaporavano continuamente, come nebbia, e parlavano agli uomini. Così Apollo era trascurato e nessuno lo onorava. Allora il dio bambino corse dal padre Zeus a lamentarsi; Zeus rise e con un solo gesto della chioma bloccò il flusso dei sogni respingendoli dentro la terra. In questo modo Apollo poté prendere possesso del santuario e rendere oracoli, ricevendo tutti gli onori che gli erano dovuti. I suoi primi sacerdoti venivano da Creta: si diceva che Apollo avesse assunto la forma di un grande delfino e fosse balzato sulla tolda di una nave di commercianti cretesi; li aveva guidati sino a terra e poi sino al luogo arroccato tra i monti nel quale voleva che sorgesse il suo tempio: Delfi, che prendeva il nome da "delfino". Così raccontava il mito.