Il più grande uomo scimmia del pleistocene

30.01.2025

Una considerazione preliminare: i libri umoristici recensiti, in vari luoghi, sono un'esigua minoranza. Lo affermo senza pretesa alcuna di rigore documentale; lo deduco dal piccolo campione di recensioni e commenti che riesco ad esaminare. A latere osservo, sempre con lo stesso criterio, il grande successo (e i commenti entusiastici) dei libri lacrimofori che l'editoria sforna in gran copia e che scalano vittoriosi le vette delle classifiche.
I pochi libri umoristici recensiti riscuotono a loro volta pochissimi commenti entusiastici; qualche giudizio di condiscendente sufficienza, compendiabile con "carino" o "divertente", senza contare quelli indignati che proprio non si capacitano di simili assurde sciocchezze.
Il fatto è che certi libri umoristici, specie quelli surreali, che sono a mio parere i più raffinati, anche se di non immediata comprensione, sono come certe barzellette: o fanno ridere, suscitando un intenso piacere intellettuale, oppure…no! Le cause, complesse, di questo fenomeno non possono essere esaminate qui; mi limito dunque a dire alcune cose su questo libro, prima fra tutte che mi annovero fra quelli che ne hanno dato giudizi entusiastici. Ne ho ricavato un godimento bifronte: risate pressoché ininterrotte e, sull'altro lato della medaglia, il piacere intellettuale di un resoconto scientifico, puntuale e rigoroso, e stimolante di riflessioni, sugli albori della cultura umana.
L'effetto comico, irresistibile, anche se non per tutti - ne convengo - è dato dallo straniamento ottenuto riportando un contenuto scientifico, oggetto normalmente di argomentazione saggistica, su un registro linguistico di tipo narrativo discronico.
Le diverse conquiste fondamentali della civiltà umana vengono raccontate, come una sorta di romanzo autobiografico, da una voce narrante, un ragazzo, che le ambienta nella propria famiglia. I diversi personaggi, giovani e meno giovani, ciascuno rappresentante tipi umani psicologicamente vari, dialogano e commentano eventi quali la conquista del fuoco, il trasferimento in una caverna più sicura, l'introduzione dell'esogamia, la costruzione delle prime armi, con linguaggio e lessico contemporanei. Questa tecnica narrativa io la trovo esilarante, ma ripeto è come certe barzellette, se non fanno ridere è inutile spiegarle.

Sfogliando il libro

Riscaldamento centralizzato Quando i venti soffiavano forte da nord, spifferando gelidi che la grande cappa di ghiaccio continuava la sua avanzata, noi ammucchiavamo tutte le nostre riserve di legna e fascine davanti alla caverna e facevamo un gran fuoco, convinti che per quanto a sud si fosse spinta stavolta, fino in Africa, addirittura, noi eravamo perfettamente in grado di affrontarla e vincerla. Avevamo un bel daffare a procurarci il combustibile necessario per tutti quei falò, anche se con una buona lama di quarzite un ramo di cedro da mezza spanna si taglia in dieci minuti; erano gli elefanti e i mammut a tenerci caldi, con la loro premurosa abitudine di sradicare gli alberi per provare la forza di proboscidi e zanne. L'Elephas antiquus si dedicava a questo sport anche più del tipo moderno, perché era ancora in pieno sforzo evolutivo, e se un animale in evoluzione ha un chiodo fisso, è lo stato della propria dentatura. I mammut, che a quei tempi si sentivano già quasi perfetti, sradicavano alberi solo quando erano arrabbiati, o quando volevano far colpo sulle femmine. Nella stagione degli amori bastava seguire il branco per far legna; nelle altre, un sasso ben centrato dietro l'orecchio di un mammut al pascolo faceva miracoli, garantendoti il riscaldamento anche per un mese. È un trucco, lo dico per esperienza personale, che funziona ottimamente con i grossi mastodonti; ma ce ne vuole, poi, per trascinare a casa un baobab sradicato. Brucia bene, ma non puoi avvicinarti a meno di trenta metri. Del resto, è inutile portare le cose agli estremi. In genere tenevamo acceso un bel falò quando faceva proprio freddo e i ghiacciai del Kilimangiaro e del Ruwenzori scendevano sotto la linea dei tremila metri. Le faville salivano al cielo, nelle gelide e serene notti d'inverno, la legna verde sfrigolava, quella secca crepitava, e il nostro fuoco splendeva come un faro su tutta la Rift Valley.  

Un alloggio confortevole La mattina dopo, da quello spalto insanguinato papà ci guidò – processione sparuta e inzaccherata - alla caverna più lussuosa della zona: aveva un bel portico arcuato, largo quasi cinque metri e alto sei, protetto da una copertura di roccia piacevolmente lavorata dal tempo, da cui, a mo' di tenda, pendevano festoni di bougainvillea. Di fronte al porticato, un gran lastrone di pietra liscia, favorevolmente esposto a mezzogiorno, serviva a un tempo da focolare e da terrazza; proprio lì di fianco, un boschetto di cedri, attraversato da un ruscello che era l'ideale per bere, lavarsi e far scolare a valle i liquami. L'interno della caverna era spaziosissimo: già il salone centrale, dal soffitto a volta, era lungo più di dieci metri e largo quasi altrettanto. Dai lati si dipartivano numerose grotte interne e alcove; in fondo, un cunicolo portava fin nelle viscere della montagna.Sia mio padre sia mia madre esaminarono tutte queste comodità moderne con aria molto soddisfatta. «Adesso, almeno, le ragazze avranno un po' di privacy» disse la mamma. «Soffitti a volta» disse papà, dando un'occhiata dentro il cunicolo. «Un bello sfogo. Naturalmente è pieno di pipistrelli, ma si fa in fretta a liberarsene. Puzzano un po', però sono molto nutrienti. Un locale appartato più interno, una… ehm, una bella cantina per il vino, magari… più avanti… ti pare?». «E c'è un sacco di spazio davanti, per l'immondizia» osservò la mamma. «Sì, cara» concordò mio padre. «Penso che ci staremo benissimo».

NOTA I titoli sono miei.