Il faraone anguilla

22.02.2025

Sotto questo curioso titolo sta una squisita novella storica che l'autore sostiene essere un
calco - con aggiustamenti, omissioni, coloriture - del racconto di Erodoto, storico giudicato poco attendibile dai colleghi, ma oggetto di venerazione per chiunque ami l'arte del narrare.
E Giovanni Mariotti l'arte del narrare la possiede davvero, per la scelta dei contenuti, sempre originali; per l'abile tessitura della trama; per la finezza dello stile, elementi tutti presenti in questa storia.
Il Faraone in questione è Amasi, della XXVI Dinastia, in precedenza trafugatore di tombe, giunto al potere in seguito ad un colpo di mano che gli ha consentito di detronizzare il precedente sovrano.
La violenza di questo atto, inevitabile alla propria affermazione, non caratterizza tuttavia il personaggio, la cui vita e conduzione del potere furono improntate ad una disincantata e astuta moderazione.
Il suo regno durò più di quarant'anni, durante i quali l'Egitto conobbe pace e prosperità fino all'evento tragico che ne determinò la caduta: la conquista da parte del re persiano Cambise.
Al sovrano Amasi l'autore attribuisce i modelli machiavelliani, la golpe (volpe) e il lione, questo per la forza, almeno al momento dell'insediamento; quella per l'astuzia che gli permise di navigare indenne evitando gli scogli insidiosi che ogni governo trova sulla sua rotta. Ma, secondo Mariotti, ad un altro animale, fortemente simbolico, si deve maggiormente accostare il Faraone: l'anguilla, sfuggente, inafferrabile, il cui corpo serico e viscido sfugge alla presa della mano. Questa caratteristica, che gli derivava dalla sua precedente furtiva attività (era stato un ladro), gli permise fino alla fine di sfuggire ai rischi cui un re è inevitabilmente sottoposto, fino al tragico epilogo finale. Infatti, se non poté opporsi alla forza preponderante del conquistatore, riuscì alla fine a beffare in maniera sublime, anche da morto, il giovane e ancora inesperto Cambise.
Questo racconto lungo, o novella, di Mariotti si può annoverare al genere del romanzo storico, ma ciò è da intendersi in maniera affatto diversa dalle operazioni commerciali tanto in voga adesso, che si focalizzano sugli aspetti spettacolari di eventi e personaggi, banalizzandoli, per offrire facili emozioni ai lettori di bocca buona. L'autore ci conduce nelle viscere del palazzo offrendoci una visione, ravvicinata del complesso, poliedrico, personaggio di Amasi, delle sue meditazioni, un ritratto finemente psicologico. Ma non solo, anche gli altri attori della vicenda, ancorché minori, sono tratteggiati con altrettanta cura.
Tutte queste cose sono frutto dell' interpretazione, dello scrittore, o meglio costituiscono considerazioni critiche fondate sulla conoscenza dei personaggi, degli eventi e del momento storico, oltre che sulla propria personale sensibilità.
Un testo così breve induce il lettore a compiere collegamenti e associazioni, a stabilire analogie, secondo il proprio retroterra culturale; e lo stimola altresì a cercare e ad approfondire ciò che conosce poco o ignora.

Sfogliando il libro

Ogni giorno, dalle quattro alle sette del mattino, il Faraone Amasi accudisce lo Stato, che si lascia accudire.

Si alza nel cuore della notte, quando tutti dormono, e di corridoio in corridoio, nelle viscere silenziose del palazzo, raggiunge uno studiolo al sommo di una torre.

Da giovane, prima di diventare Faraone, è stato ladro di tombe: da quegli anni di apprendistato ha imparato molto soprattutto a muoversi con passi leggeri, eludendo gli addetti alla sorveglianza.

Diventato Faraone, continua ad applicare ai suoi spostamenti notturni cautele da ladro.

Cammina in punta di piedi e, se riesce a raggiungere lo studiolo senza essere visto, è così contento da dimenticarsi di punire le guardie di palazzo che, dopo qualche modesto tentativo di resistenza, si sono, com'è umano, arrese al sonno.

La conformazione generale del suo spirito gli rende facile e gradito l'esercizio della tolleranza; se nel mondo tutto funzionasse in modo irreprensibile, perfetto, Amasi non si sentirebbe a suo agio; sono i difetti, le debolezze, la vanità degli uomini a rendere possibile e persino divertente l'esercizio del potere.

I funzionari senza macchia, troppo ligi e troppo onesti (pochi, ma esistono) e le sentinelle insonni lo mettono in imbarazzo e gli ispirano soggezione.

C'è un'altra caratteristica di Amasi che gli Egizi trovavano biasimevole: la simpatia per i Greci.

Ad Amasi i Greci piacciono perché hanno gusto per cose che anche lui apprezza - i conviti, gli scherzi, la conversazione... - e quando ha saputo che tra i loro dei ve n'è uno che protegge i ladri li ha trovati irresistibili.

In Egitto è diffusa l'opinione che siano curiosi come bambini.

Non cessano di chiedere chiarimenti non solo sui rituali, sulle arti magiche, sul potere dei geroglifici, ma anche su peculiarità irrilevanti, per esempio l'abitudine dei maschi egizi di pisciare accovacciati mentre le femmine pisciano in piedi; la loro insaziabile sete di spiegazioni mette spesso in imbarazzo anche i più eruditi tra gli esponenti della casta sacerdotale.

Di tutto vogliono sapere il perché e il percome, l'impressione è che a muoverli non sia il desiderio di essere iniziati a conoscenze di carattere superiore ma una frivola curiosità.

Gli Egizi, a cominciare da scribi e sacerdoti, depositari di una tradizione sapienziale plurimillenaria, li giudicano superficiali e chiacchieroni: cosa può venire di buono da un popolo senza vere tradizioni, irriverente, affetto da cronica loquacità, politicamente diviso?

A causa delle loro divisioni gli esperti li ritengono fragili e irrilevanti, ma il Faraone non ne è sicuro: un mondo frammentato non può crollare in una volta sola, un Regno centralizzato come l'Egitto sì.

Pensando ai Greci si chiede se lo sparpagliamento non abbia i suoi vantaggi.