Gli avatar di Vishnū 2
Proseguiamo nel racconto delle vicende dei dieci principali avatar di Vishnū…

I dieci principali avatar di Vishnū (Dashavatara)
6) Paraśurāma ("Rāma con la scure")
Paraśurāma è l'avatar protagonista della guerra scoppiata tra i Brahmani e gli Kshatriya, la casta principesca dei re, dei nobili e dei guerrieri. La storia inizia con la visita del re Kartavirya all'ashram, il luogo di meditazione, del saggio brahmano Jamadagni, padre di Paraśurāma. Ricevuto con grandi onori, il re ricambiò l'ospitalità con un sacrilegio, rubando Surabhi, la Vacca dell'Abbondanza. Paraśurāma, preso dalla collera, inseguì il re e, benché questi fosse un fortissimo guerriero dalle cento braccia, lo uccise.

Paraśurāma uccide Kartavirya
Nel frattempo, in assenza di Paraśurāma, il figlio di Kartavirya invase l'ashram e uccise il santo Jamadagni. Paraśurāma giurò di sterminare l'intera casta dei guerrieri e, nel corso di una spietata guerra durata ventun anni, attuò il suo truce proposito:
Questo signore vuotò la terra degli Kshatriya tre volte sette volte. Con il loro sangue riempì i cinque laghi di Samanta. (Mahābhārata, III, 118, 9)
La vendetta di Paraśurāma è tale che, per restaurare la casta degli Kshatriya, le vedove dei guerrieri uccisi sono costrette ad ammogliarsi con Brahmani; è da allora, come afferma il Mahābhārata, che non vi è più una vera casta di puri guerrieri. Sconfiggendo l'aristocrazia guerriera che si credeva padrona del mondo, Paraśurāma ristabilì il principio di una monarchia controllata dalla casta sacerdotale.
Dopo le sue gesta Paraśurāma strappò grandi territori all'oceano e, lasciando la custodia della terra al saggio Visione (Kashyapa), si ritirò, mai sconfitto, sulla montagna reale. (Mahābhārata, III, 118, 13-14)
Paraśurāma scagliò la magica scure che aveva ricevuto in dono da Shiva e, tra i suoi piedi e il punto dove l'arma si inabissò, emerse il Kerala. Paraśurāma donò la nuova terra ai Brahmani, che lo ringraziarono esultanti. Purtroppo, la loro gioia non durò a lungo poiché si accorsero che tutti i loro sforzi per coltivare quella terra erano vani. Il suolo era arido e completamente bruciato dal sale marino che lo ricopriva. Fu allora che intervenne Vasuki, il re dei serpenti che radunò tutti i suoi sudditi che abitavano negli abissi. Un esercito enorme di serpi risalì alla superficie, leccò via il sale dalla terra e la colmò di tutte le ricchezze del sottosuolo.
7) Rāma, l'incantevole
Quello di Rāma è uno dei due principali avatar di Vishnū:
Rāma è ciò che incanta o risplende sulla terra. […] Così come tutto ciò che costituisce la natura del grande baniano è contenuto in un minuscolo seme, tutto l'universo mobile e inerte è contenuto nel seme verbale Rāma. (Rāma-pūrva-tāpinī Upanishad, 1)
La più antica storia di Rāma è raccontata nel Rāmāyana, il primo poema scritto in sanscrito, composto dal saggio Valmīki. Rāma, principe ereditario del regno dei Kosala, a causa di intrighi di corte fu ingiustamente privato del diritto al trono e si allontanò dalla capitale Ayodhya. Trascorse quattordici anni in esilio, insieme alla moglie Sita e al fratello Lakshmana, nella foresta di Dandaka, dove combatte i rakshasa, i demoni che vi abitavano.

Raja Ravi Varma – Rāma e Sita, insieme a Hanuman e ai tre fratelli di Rama
Il potente re-demone Rāvana, colto da una insana ma fatale passione per Sita, la rapì e la condusse con sé nel suo regno nell'isola di Lanka. Rāvaṇa si era in precedenza invaghito d'una fanciulla di nome Vedavati che aveva incontrato in un eremo, dove meditava e venerava Vishṇū che desiderava sposare. Vedavati rifiutò le attenzioni del demone ma questi la prese con la forza, rompendo la sua castità e distruggendo il suo sogno di sposare il dio. La fanciulla si suicidò su una pira sacrificale, giurando che sarebbe tornata per causare la morte di Rāvana. La reincarnazione di Vedavati in Sita, sposa di Rāma (e quindi di Vishnū), sarà la causa della definitiva sconfitta del demone. Per riprendersi la moglie rapita, Rāma si alleò con un potente popolo di scimmie, tra le quali il valoroso guerriero Hanuman. Le scimmie costruirono un immenso ponte per collegare l'estremità meridionale dell'India con Lanka. In un'epica battaglia, l'esercito scimmiesco affrontò l'armata dei demoni, e Rāma uccise Rāvana.

Kailash Raj - Il duello tra Rāma e Rāvana
La fine della storia tratta delle umane debolezze di Rama come marito. Egli dubitò che la moglie, dopo un anno di prigionia presso Rāvana, gli fosse rimasta fedele. Sita si sottopose all'antica, atroce prova del fuoco, lo Sati. Il dio del fuoco, Agni, che consuma le vedove vive, la restituì illesa al marito geloso. Hanuman e gli dèi stessi esultarono per la suprema virtù di Sita e ne seguì l'apoteosi di Rāma e Sita, tornati ad Ayodhya a regnare felici. Altri testi, però, riportano una versione più tragica secondo la quale Rama ripudiò per una seconda volta Sita e questa morì, dopo anni di esilio, inghiottita dalla terra. Rama ne restò amareggiato fino alla morte. Un particolare strano per noi occidentali è che Rāma e Paraśurāma sono due avatar contemporanei. Nel Rāmāyana (I, 75-76) si racconta persino di un combattimento tra i due, durante il quale Paraśurāma ebbe la peggio.
8) Krishna.
Il nome Krishna significa "attraente" ma anche "scuro". Nella corrente religiosa induista del krishnaismo egli è considerato il "Dio completo" e non semplicemente una sua manifestazione o un suo avatar. Nel Bhāgavata Purāṇa (un testo krishnaita del IX secolo d.C.) si legge: "Krishna è l'Essere supremo stesso". (I, 3, 28) Krishna come divinità viene presentata in modo completo nel Mahābhārata ("La grande [storia] dei Bhārata), un poema epico composto originariamente in sanscrito. Tra le sue tante versioni quella ricostruita in epoca moderna, detta "critica", consta di 75.000 versi. L'Iliade e l'Odissea insieme ne contano circa 27.700. In altre opere, come l'Harivaṃśa, viene narrata la giovinezza di Krishna. Egli nacque come figlio di Vasudeva e di Devakī, sorella del crudele re Kamsa. Questi era venuto a conoscenza della profezia del saggio Nārada, secondo la quale sarebbe stato ucciso da un suo nipote. Teneva quindi imprigionati Vasudeva e Devakī e ne faceva uccidere i figli appena nascevano. Balarāma, il settimo figlio, si salvò perché fu miracolosamente trasferito nel grembo di Rohiṇī, seconda moglie di Vaudava. Anche l'ottavo figlio, Krishna, riuscì a salvarsi poiché fu scambiato con il figlio di una coppia di pastori, Nanda e Yaśodā, dai quali fu allevato. Krishna era un bimbo dispettoso che rubava il burro alle gopī, le pastorelle, come più avanti avrebbe rubato il loro cuore. Quando Kamsa si accorse dell'inganno, inviò esseri mostruosi per eliminare il piccolo Krishna che però si fece beffe di loro e li sterminò tutti, come per gioco. Una demone, di nome Pūtanā, assunse l'aspetto di un'affascinante nutrice e visitò le giovani madri del posto, chiedendo di poter tenere in braccio i loro piccoli e di allattarli al proprio seno. Poiché era un latte avvelenato tutti i neonati morirono. Quando Pūtanā giunse nella casa di Nanda e Yaśodā prese in grembo Krishna e iniziò ad allattarlo. Il dio, immune al veleno, cominciò a succhiare tanto avidamente dal seno della donna da provocarne la morte, dopo di che riprese le sue vere sembianze di demone. Il bambino crebbe e, da solo o col fratello Balarāma, compì imprese miracolose; a sette anni sconfisse Kaliya, il re dei serpenti che avvelenava le acque del fiume Yamuna. Krishna danzò sul capo del re-serpente sconfitto che, dopo aver riconosciuto Vishnū, il Supremo Reggitore dell'Universo, sotto l'aspetto del bambino lo implora:

Krishna danza sul capo di Kaliya, mentre le sue mogli lo supplicano di risparmiarlo.
Ho solo agito secondo la mia natura. Poiché mi hai creato dotandomi di forza e di veleno, mi sono comportato in questo modo. Se avessi agito altrimenti avrei violato le leggi che tu hai stabilito per ogni creatura secondo il suo genere; avrei sfidato l'ordine dell'universo e sarei stato perciò passibile di punizione. Ma ora pur colpendomi mi hai benedetto con il dono più alto, il tocco della tua mano. La mia forza è annientata, il mio veleno esaurito; ti imploro di risparmiarmi la vita e di ordinarmi cosa devo fare. (Heinrich Zimmer, "Miti e simboli dell'India")
Krishna, nella sua compassione, non lo uccise ma gli intimò di allontanarsi dallo Yamuna e di andare a vivere nell'oceano, dove il suo veleno non avrebbe provocato danno.
Saputo delle miracolose imprese del bambino, Kamsa, come Erode, ordinò che fossero trucidati tutti i fanciulli maschi della sua età. Allora i pastori si allontanarono e si stabilirono a Gokula. Krishna crebbe, scorrazzando felice nella vicina foresta, suonando il suo flauto divino, incantando gli animali e seducendo le fanciulle. Tra queste Radha, la più bella fra le mogli dei pastori, diventò la sua preferita. I suoi incontri clandestini con la giovane donna fanno di Krishna il simbolo dell'amore, illegale ma perfetto. La letteratura indiana ha cantato per mille e più anni il Krishnalila, "il gioco, la gioia spensierata di Krishna", il donnaiolo, il Divino Amante. Divenuto adulto Krishna sconfisse e uccise Kamsa, realizzando così la profezia di Nārada. Nel Mahābhārata si racconta l'epico scontro tra due schieramenti di cugini: i virtuosi principi Pāṇḍava e i Kaurava, usurpatori del regno. La battaglia decisiva infuriò a Kurukṣetra, un luogo a 150 km a nord di Delhi, considerato sacro dagli hindu. Lì si scontrarono diciotto armate, ognuna delle quali composta da 21.870 carri da guerra e altrettanti elefanti, da 65.610 cavalli e 109.350 fanti. Undici armate erano schierate a favore dei Kaurava, le restanti con i Pāṇḍava. Krishna, essendo imparentato con entrambi i rami della famiglia, chiese ad Arjuna (il terzo dei cinque fratelli Pāṇḍava) e a Duryodhana (il maggiore dei Kaurava), giunti alla sua dimora per invocarne l'alleanza, di scegliere tra il suo esercito e la sua presenza fisica sul campo di battaglia, con la condizione che egli non avrebbe comunque combattuto. Il Pāṇḍava scelse la sua vicinanza e perciò Krishna fu l'auriga del suo carro, mentre Duryodhana poté appropriarsi del potente esercito di Krishna. Prima della battaglia, Arjuna, trovandosi di fronte a cugini, nonni, mentori ed amici schierati nel campo avverso, cedette all'angoscia e, piangendo, si rifiutò di combattere. Nel Bhagavadgītā, "il canto del Beato", la più celebre parte del Mahābhārata e il più importante testo sacro per Vishnuiti e Krishnaiti, Krishna infonde forza e coraggio all'eroe rammentandogli il proprio Dharma (che si potrebbe tradurre con "lo scopo della propria anima") di guerriero e gli impartisce una serie di insegnamenti filosofici e spirituali per raggiungere la realizzazione spirituale.
Se morirai, guadagnerai il cielo; se vincerai, godrai la gloria terrena. Perciò, Figlio di Kunti, alzati, deciso a combattere! Rimanendo equanime nella felicità e nel dolore, nel guadagno e nella perdita, nella vittoria e nella sconfitta, affronta la battaglia della vita. Così non commetterai peccato. (Bhagavadgītā, II, 37-38)
Inoltre, Krishna si rivela ad Arjuna, manifestandosi come l'Essere supremo:
Padroneggiando la mia natura cosmica, io emetto sempre di nuovo tutto questo insieme di esseri, loro malgrado e grazie al potere della mia natura. E gli atti non mi legano […] come qualcuno, seduto, si disinteressa di un affare, così io rimango senza attaccamento per i miei atti. (Bhagavadgītā, IX 8-10)
Grazie alla vicinanza divina di Krishna, dopo diciotto giorni di battaglia, i Pāṇḍava ottennero la vittoria, nonostante l'inferiorità numerica del loro esercito.

Krishna e Arjuna a Kurukṣetra
Anche la morte di Krishna è narrata nel Mahābhārata. Dopo l'autodistruzione della sua stirpe, attuatasi per mezzo di una feroce guerra interna, Krishna si ritirò a meditare in una foresta e mentre era immerso nelle profondità dello yoga, fu raggiunto da una freccia scagliata da un cacciatore che lo aveva scambiato per un cerbiatto. La freccia lo colpì al calcagno che, come per Achille, era il suo unico punto vulnerabile. Dopo la morte Krishna abbandonò il corpo materiale riacquistando la sua sola forma divina e spirituale giungendo nel Cielo dove fu accolto come Dio, la Persona suprema. Secondo la tradizione hindu, la morte fisica di Krishna, calcolata dall'astrologo Āryabhaṭa (V secolo d.C.), avvenne il 18 febbraio 3102 a.C., data da cui iniziò il Kali-yuga, l'ultima delle quattro ere, o yuga, secondo la religione induista. Si tratta dell'era attuale, considerata un'epoca oscura, di decadenza, conflitti e ignoranza spirituale.
Per la redazione del testo si è ampiamente fatto ricorso ai seguenti testi:
Alain Daniélou, "Miti e dèi dell'India";
Angelo Morretta, "I miti indiani";
David Kinsley, "Avatāra", in "Dizionario degli dèi. Mediterraneo - Eurasia - Estremo Oriente", a cura di Mircea Eliade.
Roberto Gerbi (DrRestless)