Creso
Difficile collocare questo libro in un genere, non è un saggio né un romanzo storico benché racconti parte della vita e delle imprese di Creso*, personaggio storico poco noto nonostante il suo deonomastico sia divenuto sinonimo di persona ricchissima.
Come già in Il re Candaule, e Il faraone anguilla (Amasi)***, il racconto prende l'avvio da un libro delle Storie di Erodoto, lasciapassare che consente all'autore di entrare nelle sontuose stanze del palazzo di Sardi, capitale della Lidia, per cercarvi non il sovrano, ma l'uomo che, come tutti, anche il più umile, sballottato dalle onde del caso, si pone l'ansioso, eterno quesito su ciò che la cieca sorte gli riserverà.
Il potere, la ricchezza, la forza degli eserciti, nulla possono sul fato e il futuro. Creso, che si credeva felice, mostrando orgoglioso le sue ricchezze, godendo dello stupore dei visitatori, si desterà da questo stato di beatitudine per prendere atto della precarietà cui sono soggetti tutti gli esseri umani, nessuno escluso.
Non uscirà subito dal suo Eden dorato, ma vi soggiornerà per anni, inquieto, fino alla catastrofe finale, in preda ai suoi tormentosi pensieri, interrogando affannoso l'oracolo di Delfi che coprirà d'oro, nell'illusione di comprarne auspici benevoli. E sarà proprio un'errata interpretazione dell'ambiguo responso ad indurlo all'azione che determinerà la sua rovina. Questa tuttavia era già stata decisa dalle Moire che ne avevano decretato l'avvento durante il regno del quarto discendente di Gige**, lui insomma. La Pizia lo aveva confermato, ma Creso, accecato da un favorevole presente, non ne aveva tenuto conto.
Causa della perdita dell'innocenza di Creso, e dei seguenti tragici avvenimenti, sarà Solone, figura reale, di grande sapienza, ma quasi leggendaria: poeta, filosofo, uomo politico, legislatore; anche il suo nome entrerà nel linguaggio comune, sia pure con uso ironico.
Solone, che amava viaggiare, conoscere altri usi e paesi, capitò alla corte di Creso e, con gran stupore dell'ospite, rimase indifferente di fronte al compiaciuto sfoggio di ricchezze delle sue wunderkammer
colme d'oro e di gemme. Così come alla conoscenza della Grecia e di altri popoli ottenuta grazie alla fitta rete di emissari informatori, senza muoversi da Sardi. Né sconvolsero il sapiente i racconti delle sue vittorie, insomma tutto ciò per cui Creso reputava sé stesso un uomo felice.
Alla domanda del re di chi fosse il più felice, Solone rispose che solo alla fine della vita si può capire se questa lo è stata, ed indicò come uomini felici Tello, Cleobi e Bitone. Il primo, un perfetto sconosciuto, visse in una città ben governata ed ebbe figli buoni e sani; morì gloriosamente difendendo la patria quando fu attaccata dai nemici. I secondi, due fratelli, morirono subito dopo aver compiuto una grande impresa.
Con un calcolo meticoloso, e pedante, sulla prevista durata della vita, Solone dimostra che il presente, quand'anche favorevole è incerto e caduco, solo alla fine del cammino sapremo.
I Persiani conquistano la Lidia; in modo avventuroso, e anche leggendario, Creso avrà salva la vita, e la trascorrerà fra alterne fortune - raccontate in modo avvincente - come funzionario alla corte di Cambise, un sovrano folle e crudele, che cerca conferma di sé nel decidere (e nel dare) la morte ad altri, anche se cari e innocenti, Potere e sopravvivenza si potrebbe dire citando un famoso saggio****.
Molti i pregi di questo libro.
La prosa, di scelta eleganza nello stile, accurata nell'argomentare. La sapienza narrativa, che rende la storia avvincente, unita alla forza evocativa di un passato lontano, nel quale tuttavia ci possiamo riconoscere. L'acume dello scandaglio psicologico dei personaggi. La profondità filosofica perché, se proprio dobbiamo collocare questo libro su uno scaffale, non sfigurerebbe fra i grandi pensatori etici, con il merito ulteriore di non essere didascalico e moralistico. E infine l'effetto ciliegia, ovvero uno titra l'altro, gli innumerevoli rimandi e associazioni che suscita in chi legge. Questo per esempio, in Solone il cittadino contemporaneo - pur contestualizzando schiavitù e condizione delle donne - può riconoscersi: è un cittadino medio, altro titolo non rivendica. Rifugge dall'ostentazione, dagli oracoli; apprezza i piaceri concreti, denaro, buona tavola, sesso. Rispetta le leggi, crede nella partecipazione civica.
*Trentesimo e ultimo sovrano della Lidia dal 560 a.C. fino al 546 a.C., anno della conquista del suo regno da parte dei Persiani.
**Capostipite della dinastia che si era impadronito del trono uccidendo Candaule (soggetto di un altro libro come detto).
***Completano una trilogia, sia pure di volumi indipendenti.
****Elias Canetti, Adelphi

Sfogliando il libro
Quando sale al trono di Lidia, dopo la morte del padre Aliatte, Creso ha trentacinque anni. Della sua infanzia, della giovinezza ignoriamo tutto; ma l'indole che mostrerà, una volta diventato re, ci dice che si è trattato di un'infanzia e di una giovinezza felici.
Un fiume d'oro - il Pattolo - bagna la Lidia. La gialla sostanza che altrove è incarcerata nelle profondità della terra, in filoni rocciosi, in Lidia fluisce alla superficie e cinge come un braccio i fianchi delle colline. Si direbbe che l'oro rida per il piacere di mostrarsi a tutti, di scorrere libero fuori di miniere e forzieri. E durante gli interminabili pomeriggi d'estate, tutte le cose riposano immerse nel suo caldo riverbero.
Su questo sfondo possiamo collocare la lunga educazione di Creso alla felicità. La pigra corrente dorata che serpeggia a pelo d'erba ha assistito ai suoi giochi (la Lidia è la terra dei giochi; tutti i giochi sono stati inventati in Lidia, a eccezione degli scacchi; invenzione lidia è anche la palla) e ai suoi primi amori.
In certo modo si può dire che il Pattolo - il fiume che con semplicità esibisce agli occhi di chiunque la propria ricchezza - gli sia stato precettore.
Eppure sin dall'inizio una minaccia incombe su Creso. Cent'anni prima, una guardia di Palazzo, Gige, ha ucciso Candaule, ultimo dei discendenti di Eracle a regnare sulla Lidia Gige - gli Assiri lo chiameranno Guggu - è diventato re. Ma la Pizia ha profetizzato che la punizione del crimine ricadrà sul quarto successore. É Creso è, appunto, il quarto re della famiglia di Gige, dopo Ardys, Sadiatte, Aliatte.

Creso, particolare di un quadro di Claude Vignon
Quando, alla tavola di una locanda di Sardi, Solone annunzia a Esopo che il giorno dopo incontrerà Creso, Esopo lo ammaestra.
"I re," sentenzia, "sempre meglio compiacerli."
Logico che Esopo gli dia quel consiglio, pensa Solone.
Di origine frigia, è nato schiavo, dunque è stato educato alla sottomissione; e nel suo universo popolato di animali c'è un re a cui tutti sono costretti a obbedire: il Leone. Ma Solone no: Solone è un mésos polítes, un ateniese del ceto medio. Mésos polítes è l'unico titolo a cui tenga, e non gli importa se qualche adulatore sostiene che la sua famiglia discende da Codro, ultimo re d'Atene. Re, nobili, popolo, schiavi prediligono le ostentazioni e le illusioni. Credono nei titoli, negli orpelli, nelle magie, nella divinazione, nei colpi di fortuna. Sono incostanti e superstiziosi. Di fronte a Esopo, come di fronte a Creso, Solone prova l'orgoglio di appartenere a una classe - il ceto medio - pratica, senza chimere, attaccata al soldo ma anche ai piaceri del sesso e della tavola, rispettosa delle leggi e impegnata nella politica della Città.