Che dice la pioggerellina di marzo  Le poesie nei libri di scuola 1

08.04.2025

La retorica delle poesie presenti sui libri di testo, accompagnata da commenti assimilabili a dissezioni anatomiche, ha funestato molte generazioni di studenti di ogni ordine e grado, compromettendo irrimediabilmente ogni futuro, positivo approccio a questa forma letteraria.

La riforma Gentile del 1923, "la più fascista delle riforme", stabiliva le direttive per un'educazione funzionale ai valori del regime. Nell'anno scolastico 1930-31 il libro di testo unico assestava un ulteriore duro colpo alla libertà di insegnamento, l'indottrinamento doveva essere precoce e martellante.

Durante gli anni '50, e in parte nel decennio successivo, i principi fondanti dei programmi scolastici e gli scopi educativi non cambiarono di molto: infanzia, famiglia, sentimentalismo zuccheroso; visione idilliaca della natura; lavoro e sacrificio, destino ineluttabile; religione consolatoria. Assenti i riferimenti al Fascismo, alla Resistenza, ai cambiamenti della vita economica e sociale che il Paese stava vivendo nella ricostruzione post bellica, nessuno stimolo per l'esercizio del pensiero critico. Le poesie quasi tutte rigorosamente in rima, facili da mandare a memoria, recitate magari in coro nell'aula, inculcavano i valori dominanti e coltivavano il consenso. Molti di noi, anche se sfuggiti a quelle trappole ne ricordano alcuni versi.

Il piccolo campione riportato  è tratto dal libro Che dice la pioggerellina di marzo a cura di Piero Manni, per qualcuno sarà un ritrovare vecchie conoscenze.

Pargolette mani ed altro

GIOSUÈ CARDUCCI

PIANTO ANTICO

L'albero a cui tendevi

la pargoletta mano,

il verde melograno

da' bei vermigli fior,

nel muto orto solingo

rinverdì tutto or ora,

e giugno lo ristora

di luce e di calor.

Tu fior de la mia pianta

percossa e inaridita,

tu de l'inutil vita

estremo unico fior,

sei ne la terra fredda,

sei ne la terra negra;

né il sol più ti rallegra

né ti risveglia amor.

Citazione Anziché commuoversi di fronte allo strazio del poeta, gli irriverenti ragazzini raccontavano la seguente barzelletta: "Quanti figli aveva Carducci?" "Dodici: sei nella terra fredda e sei nella terra negra…"

Qualcuno già era in grado di difendersi con un sano cinismo. Siamo sinceri, la poesia è proprio brutta, non suscita commozione alcuna. Settenari tecnicamente perfetti, ma freddi.

ll pargolo è defunto, il poeta anche, ma la poesia è viva e vegeta e riscuote vasti consensi in rete.

ANGIOLO SILVIO NOVARO

TEMPO D'INFANZIA

Anni lontani.

Sull'uscio di casa

urlava la guerra

– col suono sgraziato

di cento sirene –

un canto di morte.

Ma dentro la casa

splendeva sereno

il sole robusto.

Forse era un bunker a prova di bomba l'abitazione di questi privilegiati.


LINA SCHWARZ

C'È UN NEONATO

C'è un neonato in casa mia:

chi non sa che cosa sia?

Un neonato è un fratellino

tutto nuovo e piccolino,

con due occhioni e una boccuccia

che dì e notte succia succia;

succia il latte e succia il dito

con un fare sbigottito.

Dorme spesso e strilla assai,

ma è carino quanto mai;

già lo dice anche la balia:

"È il più bel bimbo

che ci sia in Italia!"

Ogni scarrafone…


EDMONDO DE AMICIS

IL BIMBO A TAVOLA

Come trovo dipinto il mio bambino

in fin di desinare, è uno sgomento!

Ha le patacche addosso a cento a cento

e la bocca color di stufatino;

ha il nasetto, si sa, tinto di vino,

e sulla fronte un po' di condimento,

e uno spaghetto appiccicoso al mento,

che gli spenzola giù sul grembiulino.

E sfido, in tutto pesca e tutto tocca,

e si strofina la forchetta in faccia

e stenta un'ora per trovar la bocca…

E son tutti i miei strilli inefficaci:

egli, vecchio volpone, apre le braccia,

ed io gli netto il muso co' miei baci.

Son tutte belle le mamme del mondo

EDMONDO DE AMICIS

SE FOSSI PITTORE

Non sempre il tempo la beltà cancella

o la sfioran le lacrime e gli affanni:

mia madre ha sessant'anni,

e più la guardo e più mi sembra bella.

Non ha un accenno, un guardo, un riso, un atto

che non mi tocchi dolcemente il core;

ah, se fossi pittore,

farei tutta la vita il suo ritratto!

Vorrei ritrarla quando china il viso

perch'io le baci la sua treccia bianca,

o quando, inferma e stanca,

nasconde il suo dolor sotto un sorriso.

Pur, se fosse il mio priego in ciel accolto,

non chiederei di Raffael da Urbino

il pennello divino

per coronar di gloria il suo bel volto;

vorrei poter cangiar vita con vita,

darle tutto il vigor degli anni miei,

veder me vecchio, e lei

dal sacrificio mio ringiovanita.

Con buona pace di Edmondo, le sessantenni odierne (ed oltre) sono assai cambiate.


ZIETTA LIÙ

SE FOSSI

Mamma, se fossi il sole risplendente

ti farei coi miei raggi un bel mantello.

Sarebbe tanto ricco e tanto bello

che passeresti altera fra la gente.

Se fossi il vento della primavera

tutti i profumi ai fiori strapperei

e sopra la mia fresca ala leggera

a te, mammina mia, li porterei.

Basterebbe portare la vecchietta in un buon negozio di abbigliamento e in profumeria, ma la poesia circola ancora come si vede.


ADA NEGRI

LA MADRE

Vedova, lavorò senza riposo

per la bambina sua, per quel suo bene

unico, da lo sguardo luminoso;

per essa sopportò tutte le pene,

per darle il pan si logorò la vita,

per darle il sangue si vuotò le vene.

La bimba crebbe, come una fiorita

di rose a maggio, come una sultana,

da la materna idolatria blandita;

e così piacque a un uom quella sovrana

beltà, che al suo desio la volle avvinta,

e sposa e amante la portò lontana!...

...Batte or la pioggia dal rovaio spinta

ai vetri de la stanza solitaria

ove la madre sta, tacita, vinta:

schiude essa i labbri, quasi in cerca d'aria;

ma pensa: "La diletta ora è felice..."

E, bianca al par di statua funeraria,

quella sparita forma benedice.

Emilio Sommariva, Ritratto di Ada Negri (1914) 

La maternità senza il sacrificio non è mai contemplata da questa scrittrice, le sue poesie sono ancora apprezzate.

CITAZIONE Rassegnazione decadentista per la fascistissima Ada Negri.


GIUSEPPE UNGARETTI

LA MADRE

E il cuore quando d'un ultimo battito

avrà fatto cadere il muro d'ombra,

per condurmi, Madre, sino al Signore,

come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,

sarai una statua davanti all'Eterno

come già ti vedeva

quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,

come quando spirasti

dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m'avrà perdonato,

ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d'avermi atteso tanto,

e avrai negli occhi un rapido sospiro.

Diciamo solo che il grande Poeta ha fatto di meglio.

Rimorsi di scuola


MARINO MORETTI

LE PRIME TRISTEZZE

Ero un fanciullo, andavo a scuola: e un giorno

dissi a me stesso: "Non ci voglio andare".

E non ci andai. Mi misi a passeggiare

solo soletto, fino a mezzogiorno.

E così spesso. A scuola non andai

che qualche volta, da quel triste giorno.

Io passeggiavo fino a mezzogiorno

e l'ore... l'ore non passavan mai!

Il rimorso tenea tutto il mio cuore

in quella triste libertà perduto;

e l'ansia mi prendea d'esser veduto

dal signor Monti, dal signor dottore.

Pensavo alla mia classe, al posto vuoto,

al registro, all'appello (oh! il nome, il nome

mio nel silenzio!) e mi sentivo come

proteso sull'abisso dell'ignoto...

In fine io mi spingea fino ai giardini

od ai viali fuori di città;

e mi chiedevo: "Adesso chi sarà

interrogato, Poggi o Poggiolini?"

E fra me ripetevo qualche brano

di storia (Berengario... Carlo Magno...

Rosmunda...) ed era la mia voce un lagno

ritmico, un suono quasi non umano...

E quante, quante volte domandai

l'ora a un passante frettoloso; ed era

nella richiesta mia tanta preghiera!

Ma l'ore... l'ore non passavan mai!

 ZIETTA LIÙ

IL QUADERNO PIANGE

Un quaderno di dettato

piange lì, nella cartella.

"Sono proprio disgraziato!

tutto macchie e scarabocchi,

tutto sgorbi, tutto zeri!

Piangerei, se avessi gli occhi!

Mi sto proprio a domandare:

Alla scuola, questo bimbo,

cosa, cosa ci va a fare?"

La macchia di una scuola che colpevolizzava gli ultimi della classe.

 

Devozione


ALEARDO ALEARDI

CHE COSA È DIO

Nell'ora che nel bruno firmamento

comincia un tremolìo

di punti d'oro, d'atomi d'argento,

guardo e dimando: "Dite, o luci belle,

ditemi, cosa è Dio?"

"Ordine" mi rispondono le stelle.

Quando all'april la valle, il monte, il prato,

i margini del rio,

ogni campo dai fiori è festeggiato,

guardo e dimando: "Dite, o bei colori,

ditemi, cosa è Dio?"

"Bellezza" mi rispondono quei fiori.

Quando il tuo sguardo innanzi a me scintilla

amabilmente pio,

io chiedo al lume della tua pupilla:

"Dimmi, che cosa è Dio?"

E la pupilla mi risponde: "Amore".


Che la natura sia un  po' più complessa di così, che in natura non ci sia solo ordine e bellezza; e che non tutte le creature non sono amate nella stessa maniera, vista la loro triste vita, non è contemplato dal poeta.

 

RAINER MARIA RILKE

INVOCAZIONE A DIO

Spegnimi gli occhi, ed io Ti vedo ancora;

rendimi sordo, e sento la tua voce;

mozzami i piedi, e corro la tua strada;

senza favella, a Te sciorrei preghiere.

Dirompimi le braccia, ed io Ti stringo

col cuore mio, fatto, repente, mano.

Se fermi il cuore, batte il mio cervello;

ardi anche questo: ed il mio sangue, allora,

Ti accoglierà, Signore, in ogni stilla.


Fonte https://www.leggoerifletto.it/grazie-signore.html

Quando si dice la vocazione al martirio.

 RENZO PEZZANI

L'ANGELO CUSTODE

Dice il Signore all'Angelo:

"Corri da quel bambino

e restagli vicino.

Non lo lasciar giammai".

"Signor, cosa gli dico

se mi chiede chi sono?"

Digli: "Io sono un dono

di Dio. Sono l'amico".

"E se piange che faccio?"

"Fa' come il pastorello.

Quel bambino è un agnello,

e tu lo prendi in braccio."

"E se gioca?" "Tu giochi.

I bambini innocenti

van felici di pochi

sassolini lucenti."

"Se ha sonno che ho da fare?

Sono così maldestro."

"Mettilo in un canestro

e lo fai dondolare."

L'Angelo via volò.

Ed era già lontano

nel ciel, che si voltò

per chieder più piano:

"E se ammala? Se muore?"

"Riportalo al Signore!"

Gli Angeli hanno sempre avuto un gran da fare a riportare al Signore i bambini vittime di guerre e abusi.

Il sacro suolo

ORESTE BONI

ALL'ITALIA

Cara Italia, un giorno anch'io,

forte il braccio e ardito il cor,

ti darò, volendo Iddio,

segno aperto del mio amor.

Ove mai gente straniera

venga l'Alpi a minacciar,

mi vedrà la tua bandiera,

esultando a lei volar.

Sarà dolce a questo petto,

se il momento ha da venir,

nel tuo nome benedetto

mandar l'ultimo sospir.

Ma più dolce a' tuoi novelli

figli, o cara, un dì sarà,

senza guerre di fratelli

custodirti in libertà:

farti grande fra le genti,

come Roma un tempo fu,

non per armi prepotenti,

ma per nobili virtù.

Qui almeno, pur con la solita retorica, si contempla una guerra di difesa in vista di un'invasione armata; negli anni '50 la Resistenza era (o avrebbe dovuto ) essere ben presente, ottima occasione data agli insegnanti per parlarne. E invece no. La scuola tacque per molto tempo e ancora in gran parte lo fa. La chiusa riscatta il testo con un auspicio di pace.


CARLO ALBERTO BOSI

ADDIO MIA BELLA ADDIO

 Addio mia bella addio,

che l'armata se ne va,

e se non partissi anch'io

sarebbe una viltà.

Il sacco è preparato,

il fucile l'ho con me,

ed allo spuntar del sole

io partirò con te.

Io non ti lascio sola

ma ti lascio un figlio ancor;

sarà quel che ti consola:

il figlio dell'amor.

Addio mia bella addio

che l'armata se ne va

e però non parto io

ché invece resto qua.

In questa terra in ostaggio

non basta il coraggio

ti scrivo e ti penso, Marì.

A questa terra speciale

aspetto Natale

ma Cristo non passa di qui.

Addio, mia bella, addio

e l'armata se ne va,

addio, mia bella, addio

sempre un uomo partirà

perché dentro al suo cuore

non chiede ragione,

ma guarda con gli occhi di chi

annulla distanze, accende speranze

non cerca per colpa di chi.

Addio, mia bella, addio

sempre un uomo partirà,

perché in fondo al suo cuore

non chiede ragione

ma guarda con gli occhi di chi

accende speranze, annulla distanze

non chiede per colpa di chi.

Ma in questa terra in ostaggio

non serve coraggio

ti scrivo e ti penso, Marì,

in questa terra speciale

non viene Natale

e Cristo non passa di qui.

Addio, mia bella, addio

e l'armata se ne va

addio, mia bella, addio.

Qui la storia della poesia scritta nel 1848, in pieno Risorgimento; fu messa in musica, celebrata e cantata anche negli anni a venire (e ancor oggi) per il suo amor di patria, mutandone via via scopi e contesto.  

https://it.wikipedia.org/wiki/Addio_mia_bella_addio_(brano_musicale)

Ne esistono molte versioni, non so quale sia l'originale. Questa è leggermente diversa. Non sono escluse future ricerche


https://youtu.be/3_abCVrLiNw?feature=shared


Io ho riportato quella del libro; su questa un breve commento. Retorica a parte il testo va contestualizzato, tuttavia l'uomo che  sempre partirà senza chiedere perché e guarda con gli occhi di chi accende speranze e non cerca per colpa di chi è molto inquietante se si pensa a cosa la dittatura e le sue "speranze" avevano condotto solo pochi anni prima.
Questa la versione di Antonello Venditti che muta la melodia, ma conserva tutta l'inquietudine del testo originale, ripreso in  parte. Mi stupisce che venga presentata come canzone di pace. A meno che non si debba considerare il testo come denuncia, ma, se questo è l'intento, non è molto chiaro. 

ZIETTA LIÙ

4 NOVEMBRE

4 novembre. O morti che dormite

a Redipuglia e in grembo alla rossiccia

terra del Carso: o voi che non udite

il giocondo squillar della fanfara,

morti in terre lontane, o voi caduti

giù nell'azzurra immensità del mare,

non vi ridesta un fremito di gloria?

Oggi son tutte al vento le bandiere:

dicono che fu vostra la vittoria.

Tutti questi stanno per ridestarsi, sventoleranno le bandiere, gridando: vittoria!

Una annotazione finale (senza commento)

Nello scrivere l'articolo avevo pensato che avrei fatto fatica a trovare immagini adatte, mi sbagliavo: queste poesie sono ancora diffusissime in rete, illustrate con  immagini consone, non di rado d'epoca, apprezzate moltissimo dai fruitori di un sito in particolare, che mi ha agevolato il compito. I lettori traggano le loro conclusioni.

(Gralli)