Bibliomania

22.02.2025

Un libro pochissimo conosciuto, l'ho scoperto per caso venendo a sapere che l'autore lo ha scritto a 15 anni o giù di lì. Il volume è davvero piccino picciò, scritto a caratteri grandi, si legge in brevissimo tempo. Notevole la scrittura: matura, elegante, ben costruita sintatticamente e, al tempo stesso di grande chiarezza di lettura; eccellente e paradossale l'epilogo.

Giacomo è una figura demoniaca, nell'aspetto e nel comportamento e, pur non avendo mai manifestato malvagità, incute timore nella gente. È una sorta di posseduto che ha venduto tutto se stesso al demone-libro, ma non faustianamente, alla ricerca della sapienza, ma proprio, al libro-oggetto in quanto tale, paradossalmente, perché sapeva a stento leggere. Questo, confesso, mi riesce difficile da capire, perché, essendo affetta anche io da bibliomania - non patologica spero - il piacere e lo stimolo che mi spingono all'accumulo sono relativi esclusivamente al contenuto; leggo tranquillamente in digitale, non manco tuttavia di apprezzare libri dalla preziosa veste tipografica, a patto però che il contenuto sia di pari valore.

Questo testo rientra nel gruppo di quella categoria che mi piace indicare come aurea brevitas, poco dispendio narrativo e alta densità di significato. 

Sfogliando il libro

Giacomo, il libraio. Aveva trent'anni, e passava già per decrepito e malandato. Era alto di statura, ma curvo come un vecchio. Aveva i capelli lunghi, ma bianchi; le mani forti e nervose, ma rinsecchite e coperte di rughe. Indossava abiti miseri e laceri; aveva l'aria goffa e imbarazzata. Era un personaggio scialbo, triste, brutto e perfino insignificante. Lo si vedeva raramente per strada, se non nei giorni in cui si vendevano all'asta dei libri rari e curiosi. Allora, non era piú lo stesso uomo indolente e ridicolo. Gli si illuminavano gli occhi, correva, camminava, scalpitava. Conteneva a stento la sua euforia, la sua inquietudine, le sue ansie e i suoi patemi. Rientrava a casa ansimando, con l'affanno, trafelato. Prendeva il libro adorato, lo covava con gli occhi, contemplandolo e venerandolo come un avaro il suo tesoro, un padre la figlia, un re la corona.
Quell'uomo non aveva mai parlato con nessuno, se non con i rivenditori di libri vecchi e i rigattieri. Era taciturno e trasognato, cupo e malinconico. Aveva un solo pensiero, un solo amore, un'unica passione: i libri. E quell'amore e quella passione gli bruciavano dentro, gli consumavano i giorni, gli assorbivano la vita.
Spesso, la notte, i vicini vedevano attraverso i vetri del libraio una luce tremolante avvicinarsi, allontanarsi, alzarsi, talvolta smorzarsi. Allora udivano bussare alla porta: era Giacomo, venuto a riaccendere la candela che un voltar di pagina aveva spento.
Quelle notti febbrili e ardenti, le passava interamente tra i libri; correva nei magazzini; percorreva le gallerie della sua biblioteca con estasi e rapimento, poi si fermava, i capelli scarmigliati, gli occhi fissi e scintillanti. Le mani gli tremavano nel toccare i volumi sugli scaffali; erano calde e umide. Prendeva un un libro, lo sfogliava, ne palpava la carta, ne esaminava le dorature, la copertina, le lettere, l'inchiostro, le pieghe, i fregi intorno alla parola finis . Quindi lo spostava, lo metteva su un ripiano piú elevato, e restava ore intere a guardarne il titolo e la forma.
Poi andava verso i manoscritti, le sue creature predilette; ne prendeva uno, il piú vecchio, il piú logoro, il piú sporco; ne osservava la pergamena con amore e gioia; ne annusava la polvere santa e venerabile; allora le narici gli si riempivano di contentezza e d'orgoglio, un sorriso gli spuntava sulle labbra.
Oh! quell'uomo era felice; felice in mezzo a tutta quella scienza, di cui comprendeva a malapena la portata morale e il valore letterario, felice fra tutti quei libri. Lasciava vagare lo sguardo sulle lettere dorate, le pagine consunte, la pergamena brunita. Amava il sapere come un cieco ama il giorno.
Ma no, non era il sapere che amava, erano la sua forma e la sua espressione. Amava un libro perché era un libro; ne amava l'odore, l'aspetto, il titolo. Quello che gli piaceva di un manoscritto erano la vecchia data illeggibile, le lettere gotiche, cosí particolari e bizzarre, le grevi dorature che appesantivano i disegni; erano le pagine coperte di polvere, polvere di cui aspirava con voluttà il profumo soave e delicato. Era quella graziosa parola finis , circondata da due puttini sorretti da un nastro, o poggiata a una fontana, incisa su una tomba, posta su un cesto, tra rose, mele d'oro e mazzolini azzurri.
Quella passione l'assorbiva completamente: mangiava il minimo necessario, non dormiva piú; pensava ai libri, il suo chiodo fisso, per giorni e notti intere. Immaginava cosa potesse contenere di divino, di sublime e di bello una biblioteca reale, e fantasticava di farsene una altrettanto grande. Come respirava bene, come si sentiva fiero e invincibile quando si guardava intorno nelle immense gallerie, lo sguardo perso tra i suoi volumi! Alzava la testa: libri. L'abbassava: libri. A destra, a sinistra: ancora libri.
A Barcellona passava per un tipo strano e diabolico, un erudito uno stregone.
Sapeva leggere a stento. Nessuno osava parlargli, tanto il suo volto era severo e pallido; aveva un'aria cattiva e subdola, eppure non aveva mai fatto male a un bambino; è anche vero, però, che non aveva mai dato niente in elemosina.
Teneva tutto il suo denaro, tutti i suoi beni, tutte le sue emozioni, per i libri. Era stato monaco e per i libri aveva abbandonato Dio. Poi, aveva sacrificato ciò a cui gli uomini tengono di piú, dopo Dio: i soldi. Infine, aveva dato ciò che si ha di piú caro, dopo i soldi: l'anima.
Da qualche tempo, le sue veglie si erano prolungate. Si vedeva la sua candela restare accesa fino a tardi. Il fatto è che aveva un nuovo tesoro, un manoscritto. 

No! non era il sapere che amava, era la sua forma e la sua espressione; amava un libro perché era un libro, amava il suo odore, la sua forma, il suo titolo. Ciò che amava in un manoscritto, era la sua vecchia data illeggibile, le lettere gotiche bizzarre e strane, le spesse dorature che appesantivano i suoi disegni, erano le sue pagine coperte di polvere, polvere di cui aspirava deliziato il profumo soave e delicato; era la bella parola finis, circondata da due amorini, sorretta da un nastro, appoggiata a una fontana, incisa su una tomba o adagiata in un cestino tra le rose, le mele d'oro e i mazzi di fiori blu.