All'inferno, per amore 2

18.03.2025

Dopo aver ricordato il mito di Orfeo ed Euridice e l'analoga vicenda degli dèi giapponesi, Izanami e Izanagi, continuiamo nel racconto delle discese agli inferi per amore.  

Il dio coyote

  Il dio Coyote rappresenta, nelle culture degli indiani del Nord America il tipico trickster,1 ossia il dio briccone. Sono numerosi i racconti che lo vedono raggiungere il Paese dei morti, con incredibili analogie con gli antichi miti di altre terre. 

 In un mito wishham, […] Coyote, cui sono morti moglie e figli, si avvia col potente Aquila a cercarli, e giunge nel Paese dei morti. È uno strano villaggio, apparentemente deserto e silenzioso, situato all'estremo Occidente, oltre l'Oceano, che Coyote attraversa in una barca magicamente fatta accostare da Aquila. Per attraversare il grande fiume che porta al Paese dei morti Coyote deve tenere gli occhi ben chiusi, e non guardare. Anche dopo quando, con l'aiuto di Aquila, tutti i morti sono stati rinchiusi in una grande cassa per trasportarli indietro verso Oriente, al regno dei viventi, Coyote deve rispettare alcune regole, e soprattutto non deve guardare dentro la cassa finché il viaggio non sarà compiuto. Ma Coyote, che pure ha saputo eseguire i compiti complessi che hanno consentito alla fine la cattura dei morti - tra l'altro ha dovuto tenere nascosta in bocca la luna, che solo dopo l'uccisione della vecchia guardiana cui Coyote si sostituisce, facendone per una notte le veci, è stata lanciata in cielo - non sa resistere alla curiosità e alla impazienza di rivedere la moglie di cui riconosce la voce proveniente dalla cassa, e alla fine manda in malora l'intera operazione. Scostato appena il coperchio della cassa, tutti i morti escono fuori e spariscono verso Occidente. Ma ormai non è più possibile andarli a riprendere. Essi se ne sono andati da qualche parte in cielo, dove era stata scagliata la luna, e la via per raggiungerli è sconosciuta. Sarebbe stato dunque possibile, dice il mito, che i morti - come le foglie e le erbe che Aquila e Coyote hanno pure raccolto nel regno oltre l'Oceano - tornassero in vita dopo una morte solo temporanea, ma ormai, e da allora per sempre, la morte è eterna!2

1 https://it.wikipedia.org/wiki/Trickster 

 2 Lewis Hyde, "Il briccone fa il mondo", riprendendo un mito narrato da Edward S. Curtis, "The Origin of Eternal Death". The North American Indian, Vol. 8 (1911). 

Nell'inverno tra il 1929 e il 1930, l'antropologo nativo americano Archie Phinney si recò nella riserva indiana di Fort Lapwai, nel nord-est dell'Idaho, per registrare racconti della madre sessantenne, Wayílatpu, una nez percé che parlava solo la propria lingua natale. Ne derivò un libro, pubblicato nel 1934, che conteneva una quarantina di storie, tra cui quella del Coyote e le ombre:

Coyote e sua moglie vivevano insieme. Un giorno lei si ammalò e morì. Coyote era sempre più solo, e non faceva altro che piangere per la morte della moglie. Giunse allora lo spirito della morte e gli chiese: "Coyote, ti stai struggendo per tua moglie?" "Sì, amico, non vedo l'ora di vederla…" rispose Coyote. "Potrei condurti da lei, ma sappi che dovrai comportarti esattamente come ti dico; neppure una volta dovrai disobbedirmi e fare di testa tua". "Sì - rispose Coyote - sì, amico, cosa dovrei fare? Farò tutto ciò che dirai". Al che lo spirito gli disse: "Ora andiamo". Coyote aggiunse: "Va bene. Andiamo". Partirono, e lo spirito rinnovò la raccomandazione a Coyote: "Devi fare tutto ciò che dico. Non disobbedire". "Sì, amico, certo. Ho sofferto così tanto che non vedo perché non dovrei prestarti ascolto!" Coyote non riusciva a vedere lo spirito in modo chiaro, perché aveva le sembianze di un'ombra. Si avviarono e attraversarono una pianura. "Oh, ci sono molti cavalli; sembra un raduno" esclamò lo spirito. "Sì - replicò Coyote, sebbene in realtà non ne vedesse - ci sono molti cavalli". Giunsero allora nelle vicinanze del luogo in cui si trovava la moglie. Il fantasma sapeva bene che Coyote non poteva vedere nulla, ma disse ugualmente: "Oh, guarda quante sorbe! Prendiamone un po' per mangiarne. Quando vedi che mi allungo allungati anche tu, e quando mi vedi piegare il ramo all'ingiù abbassa le mani". "Sì - rispose Coyote - farò come dici". Il fantasma si allungò e piegò il ramo all'ingiù e lo stesso fece Coyote. Sebbene non riuscisse a vedere le sorbe, imitò lo spirito accostando e allontanando la mano dalla bocca, come chi sta mangiando. Così raccolsero e mangiarono le sorbe, con Coyote che guardava e imitava attentamente ogni azione dello spirito. Quando questi accostava la mano alla bocca, lo stesso faceva lui. "Che buone queste sorbe!" commentò lo spirito. "Sì, amico, è una fortuna averle trovate" convenne Coyote. "Andiamo, ora". E proseguirono. "Stiamo per arrivare - disse il fantasma. - C'è un accampamento enorme. Tua moglie deve essere lì da qualche parte. Aspetta che chiedo a qualcuno". Poco dopo lo spirito tornò e disse a Coyote: "Mi hanno detto dove si trova tua moglie. Stiamo per arrivare a una porta attraverso cui entreremo. Dovrai fare esattamente ciò che vedi fare a me. Io afferrerò un lembo della porta, lo solleverò, poi lo ripiegherò ed entrerò. Dopodiché toccherà a te fare lo stesso". Così fecero ed entrarono. Caso volle che la moglie di Coyote sedesse proprio vicino all'entrata. Lo spirito disse a Coyote: "Siediti qui accanto a tua moglie". Entrambi si sedettero. Il fantasma aggiunse: "Tua moglie ci sta preparando da mangiare". Coyote non riusciva a vedere niente, se non che si trovava in un'aperta prateria da cui non si scorgeva nulla; tuttavia avvertiva la presenza dell'ombra. "Ora che ha preparato il cibo, mangiamo". Lo spirito si accomodò e si portò la mano alla bocca. Coyote non vedeva altro che la polvere della prateria. Mangiarono, con Coyote che imitava tutti i movimenti del compagno. Quando finirono e la moglie parve mettere da parte quanto restava, il fantasma disse a Coyote: "Tu rimatene qui, che io devo andare a incontrare delle persone". Uscì, ma ritornò poco dopo. "Qui da noi vigono condizioni diverse da quelle che si hanno nel mondo dei vivi. Quando da noi fa buio da voi albeggia, e quando albeggia da noi da voi fa buio". E ora che iniziava a fare buio a Coyote parve di udire la gente sussurrare, parlare con voce flebile tutt'intorno a lui. Presto scese la notte, e Coyote scorse tanti fuochi. Capì di essere in un accampamento sterminato e c'erano tanti fuochi accesi. Poteva vedere le varie persone. Erano simili a ombre, ma egli riusciva a distinguerle. Vide la moglie che gli sedeva accanto. Era pieno di gioia, e gioiosamente salutò tutti i suoi vecchi amici morti anni prima. Che felice era! Desiderava avanzare in mezzo ai falò, andare di qua e di là, parlare con la gente. E lo fece per tutta la notte. Riusciva anche a vedere l'ingresso attraverso cui era entrato con l'amico. Poi, quando ormai cominciava ad albeggiare, questi venne e gli disse: "Coyote, la nostra notte sta calando e fra un po' non ci vedrai più. Ma dovrai rimanertene qui. Non andare assolutamente da nessuna parte. Restatene qui e la sera potrai vedere di nuovo tutta questa gente". "Sì, amico. Dove vuoi che vada? Passerò la giornata qui". Venne l'alba e Coyote si trovò solo seduto in mezzo a una prateria. Passò lì la giornata, esausto, arso e assetato per il caldo. Vi rimase per diversi giorni, disposto a soffrire durante il giorno pur di far sempre festa di notte nel grande accampamento. Un giorno lo spirito amico venne e gli disse: "Domani andrai a casa. Porterai con te tua moglie". "Sì, amico, ma qui mi piace così tanto. Mi sto divertendo e preferirei rimanere". "Sì - replicò lo spirito – comunque domani andrai via, e dovrai guardarti dalla tua inclinazione a commettere stupidaggini. Non nutrire strane idee. Ti suggerirò io ciò che dovrai fare. Ci sono cinque montagne. Tu dovrai camminare per cinque giorni. Tua moglie verrà con te, ma non dovrai mai e poi mai toccarla. Non permettere ai tuoi impulsi di avere il sopravvento. Potrai parlarle ma non toccarla. Solo dopo che avrai attraversato e ridisceso quelle montagne potrai fare come ti pare". "Sì, amico" rispose Coyote. Giunta nuovamente l'alba, Coyote partì con la moglie. All'inizio gli sembrò di essere solo anche se vagamente avvertiva la presenza di lei che lo seguiva. Attraversarono una montagna e Coyote poté percepire più chiaramente la sua presenza, sebbene apparisse come un'ombra. Proseguirono e attraversarono una seconda montagna. Ogni notte si accampavano ai piedi di una montagna. Avevano una piccola tenda a cono che montavano ogni volta. Durante i bivacchi Coyote sedeva da un lato del fuoco e la moglie dall'altro. La sua figura diventava via via più nitida. Lo spirito che li aveva indirizzati iniziava a contare i giorni e a calcolare la distanza coperta da Coyote e dalla moglie. "Spero che faccia tutto quel che gli ho raccomandato di fare e conduca la moglie nel mondo dei vivi" ripeteva a se stesso. Coyote e la moglie erano al loro quarto bivacco e si apprestavano a trascorrere l'ultima notte. Il giorno successivo lei avrebbe assunto pienamente le sembianze di una persona viva. In quello che era il loro ultimo bivacco Coyote riusciva a vederla molto chiaramente, come se seduta di fronte a lui vi fosse una persona reale. Ne vedeva espressamente il viso e il corpo, ma la guardava soltanto, senza osare toccarla. Improvvisamente un impulso gioioso si impadronì di lui; la felicità di avere nuovamente la moglie lo sopraffece. Saltò in piedi e corse ad abbracciarla. Lei urlò: "Fermati, Coyote, fermati! Non toccarmi, fermati!" L'avvertimento suonò vano. Coyote raggiunse la moglie e, non appena la toccò, il corpo di lei svanì. Era sparita, tornata nell'oltretomba. Quando lo spirito della morte apprese della follia di Coyote divenne furioso. "Incorreggibile disobbediente! Ti avevo detto di non commettere sciocchezze. Eri sul punto di attivare la pratica del ritorno dei morti. La stirpe degli umani si sta appena affacciando alla vita, ma tu hai già rovinato tutto, decretando per essa la morte così com'è".

A quel punto Coyote si produsse in un pianto ininterrotto. Decise allora che l'indomani sarebbe ritornato tra i morti. Il mattino seguente partì, ripercorrendo i luoghi che riconosceva per averli attraversati in precedenza insieme al suo spirito amico. Ritrovò il posto in cui questi aveva visto la mandria di cavalli e cominciò a fare le stesse cose che avevano fatto nel loro viaggio nel regno delle tenebre. "Oh, guarda i cavalli; sembra un raduno" esclamò. Proseguì finché giunse là dove lo spirito aveva trovato le sorbe. "Che sorbe prelibate! Prendiamone qualcuna e mangiamola" disse mimando il gesto di chi raccoglie sorbe e ne mangia. Proseguì e giunse finalmente nel luogo in cui si trovava il grande accampamento. Disse allora a se stesso: "Non appena afferrerò il lembo che ricopre l'ingresso e lo solleverò dovrai fare lo stesso". Coyote si ricordava di tutte le piccole cose fatte dall'amico. Scorse il punto in cui prima era stato seduto, lo raggiunse e, accomodatosi, disse: "Tua moglie ci ha preparato da mangiare. Mangiamo!" E fece nuovamente finta di mangiare. Si era fatto buio, e Coyote ascoltava le voci, guardava tutt'intorno, di qua e di là, ma nulla appariva. Se ne restò seduto lì in mezzo alla prateria. Vi rimase tutta la notte, ma l'accampamento non riapparve, e neppure lo spirito tornò più da lui.3 

3 Lewis Hyde, "Il briccone fa il mondo", riprendendo un mito narrato Archie Phinney, "Nez Percé Texts", 1934. 

La morte di Balder

 

 Un'altra variante della discesa agli inferi per salvare una persona amata, in questo caso un fratello, si trova nella mitologia dei norreni, gli antichi popoli del Nord Europa. La vicenda comincia con gli incubi angoscianti in cui il dio Balder vede preannunciata la propria morte. Egli si confida con i suoi genitori e suo padre Odino, il re degli dèi, monta su Sleipnir, il suo nero cavallo dalle otto zampe, e si reca nello Hel, il Mondo dei morti.4 

Odino a cavallo

4 Anche nell'inglese moderno Hell significa Inferno. 


Cavalcò giù fino a Niflhel 

 e incontrò il cane, 

 che veniva da Hel. 

 Era macchiato di sangue 

 davanti sul petto 

 e al padre degli incantesimi 

 abbaiò a lungo. 

 Continuò a cavalcare Odino, 

 il solido suolo rimbombava; 

 e all'alta dimora di Hel arrivò. 

 Allora cavalcò Odino 

 verso la porta orientale 

 dove sapeva che era 

 sepolta una veggente. 

 Per la strega 

 intonò l'incantesimo, 

 finché ella costretta, risorse. 

 Subito parlò la morta: 

 "Chi è colui, 

 a me sconosciuto, 

 che al duro viaggio 

 mi costringe? 

 Sono ricoperta di neve, 

 sferzata dalla pioggia, 

 e intrisa di rugiada: 

 da tempo sono morta". 

 Disse Odino: "Mi chiamo Vegtamr, 

 e sono figlio di Valtamr. 

 Parlami di Hel: 

 dal mondo io te lo chiedo. 

 Per chi sono le panche 

 giuncate d'anelli 

 e le belle pareti 

 ricoperte d'oro?" 

 Disse la vǫlva: 

"Qui sta l'idromele 

 preparato per Balder, 

 la chiara bevanda 

 coperta da uno scudo. 

I figli degli æsir 

 sono angosciati.

Costretta ho parlato, 

ora voglio tacere.5 

 La morte di Balder è quindi prossima. Gli dèi decidono di trovargli protezione contro ogni pericolo. Sua madre, Frigg, ottiene una promessa da tutti gli elementi e da tutti gli esseri: nessuno avrebbe fatto del male al figlio. Il fuoco, l'acqua, tutti i metalli, la terra. le pietre, tutte le piante, le malattie, i veleni, gli animali, gli uccelli, i serpenti… tutti si impegnano sotto giuramento a non nuocere a Balder. Tra gli Asi, come vengono chiamati gli dèi nordici, ritorna la serenità e anzi da allora gli dèi cominciano un nuovo gioco, che ripetono ogni giorno. Formano un cerchio intorno a Balder e gli lanciano qualunque oggetto, armi, rocce, veleni, perché nulla può più nuocergli. 

Elmer Boyd Smith - Balder

5 "Baldrs Draumar", reperibile in internet nella traduzione di Luca Taglianetti. Il breve poema è stato riscritto in inglese dal poeta preromantico Thomas Gray nel 1761. 

Loki, l'enigmatico dio del disordine, un altro tipico trickster, è roso dall'invidia. Tramutatosi in donna mortale, chiama a sé Frigg, riuscendo, con l'inganno, a carpirle il punto debole del figlio: una pianticella di vischio, che era apparsa a Frigg troppo piccola e tenera per chiederle di giurare. Loki quindi raccoglie la piantina, torna al consesso degli dèi, e si avvicina a Hödhr, un fratello di Baldr; Hödhr è cieco, non può partecipare al gioco degli dèi. Loki gli dice di volerlo aiutare, perché possa anch'egli divertirsi come tutti, e far così piacere a suo fratello. Gli mette quindi in mano il vischio e lo guida nel lancio. Il vischio vola verso Balder come una freccia, trapassandolo e uccidendolo.6 

La morte di Balder (manoscritto islandese) 

Tutti gli Asi sono disperati ma Frigg, la madre, offre tutto il suo amore e la sua riconoscenza a chi abbia il coraggio di discendere nel regno dei morti per chiedere a Hel, la regina di quel regno, il permesso di far ritornare Balder alla luce del sole. Si fa avanti Hermod il Gagliardo, altro suo figlio e fratello di Balder, che parte a cavallo verso Hel e giunge infine al Ponte di Gjallar, il ponte d'oro da cui si arriva al regno degli Inferi. Il ponte è sorvegliato da una fanciulla che si chiama Modgun. Costei chiede al cavaliere: "Qual è il tuo nome, a quale stirpe appartieni? Ieri sono passate sul ponte cinque schiere di morti, ma rintrona assai più oggi che lo hai attraversato tu di quanto non abbia risuonato ieri al passaggio di quegli eserciti. Inoltre il tuo volto non ha il pallore di un morto: che cosa ti conduce, dunque, verso Hel?" Hermod risponde: "Vado a Hel per cercare Balder; lo hai forse visto passare? - Sì, - afferma Modgun, - Balder ha attraversato il ponte di Gjallar. La via di Hel è ancora più in fondo, e volge a nord". 

6 La morte di Baldr ricorda quella di altri eroi pressoché invulnerabili, come Achille o Sigfrido. 

 Hermod continua a galoppare finché giunge a Hel ed è invitato a trascorrervi la notte, ma la mattina seguente spiega a Hel quanto grande fosse il dolore degli Asi, e la prega di concedergli di riportare Balder a casa. Hel risponde: "Dobbiamo prima vedere se Balder è davvero tanto amato come si dice: se tutte le creature del mondo, viventi o meno, piangeranno la sua scomparsa, egli potrà fare ritorno fra gli Asi. Ma se un solo essere si rifiuta di farlo, Balder rimarrà per sempre a Hel".

Hermod torna dunque in Asgàrd e riferisce quello che ha visto e sentito. Immediatamente gli Asi inviano messaggeri per tutto il mondo, a chiedere a ogni essere vivente e non vivente di piangere la scomparsa di Balder, affinché egli potesse risalire da Hel. La richiesta degli Asi è esaudita da tutti: uomini e bestie, terra e monti, piante e metalli.

 Quando i messaggeri ebbero portato a termine la loro ambasciata, e si accingevano quindi a tornare a casa, s'imbatterono lungo il cammino in una vecchia, che se ne stava rannicchiata davanti a una grotta. Ella disse di chiamarsi Tok, e anche a lei i messi chiesero di piangere Balder per farlo tornare da Hel. La vecchia, però, rispose: "Tok verserà lacrime asciutte sulla pira di Balder; il figlio del vecchio non mi è mai stato caro in vita, e non lo sarà neanche nella morte; si tenga pure Hel ciò che possiede. 

 Balder viene così condannato definitivamente alla morte. Quando i messi tornano ad Asgàrd e raccontano ciò che è accaduto, gli Asi intuiscono immediatamente che la vecchia non poteva essere che Loki, la causa di tutte le sciagure e lo condannano a una pena terribile: 

Gli Asi posero Loki sulle tre pietre: una stava sotto le sue spalle, la seconda sotto i fianchi e la terza sotto l'incavo delle ginocchia. Dopodiché lo legarono saldamente con le budella del figlio, che subito si tramutarono in fili di ferro. Infine Skadi prese un serpente velenosissimo e lo attorcigliò sulla testa di Loki, in modo che il veleno gli colasse sul volto. Ma Sigyn, sua moglie, gli sta accanto e regge un bacile sotto il serpente, pronta a raccoglierne le gocce velenose. Poi, quando il bacile è pieno, corre via a svuotarlo, e in questo frat-tempo il veleno gocciola dal serpente sul viso di Loki. Ed egli si contorce con spasimi atroci, tanto che tutta la terra trema. E resterà così incatenato fino al giorno del Ragnarok. […] L'uccisione di Balder, tuttavia, non fu risarcita dalla punizione inflitta a Loki, poiché era stato Hod a scagliare il dardo mortale. […] A questo proposito si racconta che gli Asi cercassero di procurarsi un vendicatore che fosse a metà fra un congiunto e un estraneo. Odino generò così un figlio con una donna di nome Rind, e lo chiamò Vali; il fanciullo era nato da una notte appena, e non era stato ancora né lavato né pettinato, che subito uccise l'assassino di Balder e lo pose sulla pira funebre. Di più non possiamo sapere, pertanto questo mito è pieno di ombre per noi.7 

 7 Vilhelm Grønbech, "Miti e leggende del Nord". 

Una leggenda delle Nuove Ebridi 

 Agli antipodi dell'Islanda, nelle isole del Pacifico, si tramandano storie simili; ad esempio, gli abitanti dell'isola di Efateze, nelle Nuove Ebridi, narrano di una discesa da un inferno all'altro, in una lunga spirale progressiva: 

 Il capo della tribù Bau mandò a chiamare il suo bardo, Nabuma Ekbu, perché venisse a cantare durante una festa, ma il bardo era intanto morto, era stato anche sepolto, ed era sceso nel Bokas, il primo livello degli inferi. Saputo questo, lo stesso capotribù volle discendere nel Bokas. Là apprese che il bardo era defunto una seconda volta ed era stato seppellito, e ora si trovava giù, a Magapopo, il secondo livello degli inferi. Sceso anch'egli a Magapopo, il capo venne a sapere che il bardo era morto di nuovo ed era stato sepolto, ragion per cui ora si trovava a Magaferafera, il terzo livello degli inferi. Calatovisi pure il capotribù, seppe lì, a Magaferafera, che il bardo era morto una quarta volta, e che era stato sepolto e ora era disceso a Maganaponapo, il quarto livello del mondo sotterraneo. Allora discese anch'egli a Magana ponapo, e apprese che il bardo vi era morto ed era stato sepolto, e che ora era sceso Mateika, il livello più basso del mondo sotterraneo. Il capotribù discese a Mateika e chiese di Nabuma Ekbu. "Guarda le sue ossa!", i presenti gli dissero. Così il capo raccolse le ossa di Nabuma Ekbu. le mise in un cesto e le portò con sé. Attraversò Maganaponapo, poi Magaferafera, e quindi Magapopo e Bokas; da lì tornò sulla superficie della terra, in un sacro luogo della sua tribù. Vennero suonati i tamburi e il popolo danzò alla loro musica. Dal cesto, le ossa di Nabuma Èkbu levarono un canto e la festa ebbe luogo.8

8 Alexander Eliot, "I miti universali".