All'inferno, per amore 1

13.03.2025

Orfeo ed Euridice

Tutti conoscono la struggente storia d'amore e morte di Orfeo ed Euridice ma forse non tutti sanno che esistono molti racconti simili e non solo nel mito greco ma in molte altre culture. In ognuno di questi racconti si narra di amanti e amici, madri, figli e fratelli che sono discesi agli Inferi per cercare di salvare i loro cari. Ma iniziamo ricordando la storia di Orfeo come è stata narrata da tanti poeti e soprattutto da Virgilio nel IV libro delle Georgiche e da Ovidio nel X libro delle Metamorfosi Orfeo, figlio del re tracio Eagro, ma secondo altre versioni del dio Apollo, e della musa Calliope, fu il più famoso poeta e musicista mai esistito. Apollo gli donò la lira e le Muse gli insegnarono a usarla. Non soltanto ammansiva le belve ma, incantati dal suono della sua musica, persino gli alberi e i massi si muovevano per seguirlo. 

Narrano che egli ammaliasse col suono dei canti le dure rocce dei monti e le correnti dei fiumi.1

Orfeo circondato dagli animali Mosaico pavimentale romano  

Cessava il fragore del rapido torrente, e l'acqua fugace, obliosa di proseguire il cammino, perdeva il suo impeto… Le selve inerti si movevano conducendo sugli alberi gli uccelli; o se qualcuno di questi volava, commuovendosi nell'ascoltare il dolce canto, perdeva le forze e cadeva… Le Driadi, uscendo dalle loro querce, si affrettavano verso il cantore, e perfino le belve accorrevano dalle loro tane al melodioso canto.2

A Zone, in Tracia, un gruppo di antiche querce di montagna è ancora disposto come Orfeo le lasciò, secondo lo schema di una delle sue danze. Nella versione più nota del mito, un giorno, nei pressi di Tempe, nella vallata del fiume Peneo, in Tessaglia, la moglie di Orfeo, la ninfa Euridice, s'imbatté in Aristeo, pastore di api, anch'egli figlio di Apollo, che cercò di usarle violenza. Euridice, mentre fuggiva, incespicò in un serpente e morì a causa del suo morso: 

Silenzio. Udite. E' fu già un pastore

figliuol d'Apollo, chiamato Aristeo.  

Costui amò con sì sfrenato ardore 

 Euridice, che moglie fu di Orpheo, 

 che seguendola un giorno per amore 

 fu cagion del suo caso acerbo e reo: 

 perché, fuggendo lei vicina all'acque, 

   una biscia la punse; e morta giacque.3   

Nicolò dell'Abate - La morte di Euridice, 1552-1571

Orfeo discese coraggiosamente nel Tartaro, con la speranza di ricondurre Euridice sulla terra. Sul capo Tenaro, in Laconia, la punta più meridionale del Peloponneso, sorgeva un tempio dedicato a Poseidone, all'interno si trovava una grotta da cui si poteva accedere all'oltretomba, una delle varie "porte dei morti" che costellavano la geografia mitica dei greci. Orfeo si servì di quel passaggio e, al suo arrivo negli Inferi, non soltanto incantò, con la sua musica dolce e lamentosa, Caronte il traghettatore, il cane Cerbero e i tre giudici dei morti, ma fece cessare temporaneamente le torture dei dannati e placò il duro cuore di Ade e soprattutto della moglie Persefone, tanto da indurlo a restituire Euridice al mondo dei vivi. In Ovidio, nella perorazione di Orfeo alla coppia infernale, viene introdotto poeticamente un tema potentissimo e quasi mai esplicitato: la provvisorietà dei miracoli e dei finali lieti in generale, per cui anche Lazzaro non risuscita per vivere per sempre e le principesse delle fiabe sono destinate a invecchiare e morire.4 

Anselmo Guazzi e Agostino da Mozzanica (su progetto di Giulio Romano) Orfeo ed Euridice di fronte a Plutone e Proserpina, 1526-28

 Causa del viaggio è mia moglie: una vipera, che aveva calpestato,

in corpo le iniettò un veleno, che la vita in fiore le ha reciso. 

 Avrei voluto poter sopportare, e non nego di aver tentato: 

 ha vinto Amore! Lassù, sulla terra, è un dio ben noto questo; 

 se lo sia anche qui, non so, ma almeno io lo spero: 

 se non è inventata la novella di quell'antico rapimento, 

 anche voi foste uniti da Amore. Per questi luoghi paurosi, 4   

per questo immane abisso, per i silenzi di questo immenso regno, 

 vi prego, ritessete il destino anzitempo infranto di Euridice! 

Tutto vi dobbiamo, e dopo un breve soggiorno in terra, 

 presto o tardi tutti precipitiamo in quest'unico luogo. 

 Qui tutti noi siamo diretti; è l'ultima dimora, e qui 

 sugli esseri umani il vostro dominio non avrà mai fine. 

 Anche Euridice sarà vostra, quando sino in fondo avrà compiuto 

 il tempo che gli spetta: in pegno ve la chiedo, non in dono. 

 Se poi per lei tale grazia mi nega il fato, questo è certo: 

 io non me ne andrò: della morte d'entrambi godrete!". 

 Mentre così si esprimeva, accompagnato dal suono della lira, 

 le anime esangui piangevano; Tantalo tralasciò d'afferrare 

 l'acqua che gli sfuggiva, la ruota d'Issíone s'arrestò stupita; 

 gli avvoltoi più non rosero il fegato a Tizio, deposero l'urna 

 le nipoti di Belo e tu, Sisifo, sedesti sul tuo macigno. 

 Si dice che alle Furie, commosse dal canto, per la prima volta 

 si bagnassero allora di lacrime le guance. Né ebbero cuore, 

 regina e re degli abissi, di opporre un rifiuto alla sua preghiera, 

 e chiamarono Euridice.

Ade pose una sola condizione: che Orfeo non si guardasse alle spalle finché Euridice non fosse giunta alla luce del sole. Euridice seguì Orfeo su per un'oscura voragine, guidata dal suono della sua lira. Appena sorse la luce del sole, Orfeo si volse per vedere se Euridice fosse realmente con lui e così la perse per sempre. 

In un silenzio di tomba s'inerpicano su per un sentiero scosceso, 

buio, immerso in una nebbia impenetrabile.

E ormai non erano lontani dalla superficie della terra, 

 quando, Orfeo nel timore che lei non lo seguisse, ansioso di guardarla, 

 l'innamorato Orfeo si volse: sùbito lei svanì nell'Averno; 

 cercò, sì, tendendo le braccia, d'afferrarlo ed essere afferrata, 

 ma null'altro strinse, ahimè, che l'aria sfuggente. 

 Morendo di nuovo non ebbe per Orfeo parole di rimprovero 

 (di cosa avrebbe dovuto lamentarsi, se non d'essere amata?); 

 per l'ultima volta gli disse 'addio', un addio che alle sue orecchie 

giunse appena, e ripiombò nell'abisso dal quale saliva.5  

Emil Neide - Orfeo ed Euridice, 1876 ca.

La vicenda di Orfeo ed Euridice è stata raccontata innumerevoli volte, come da Agnolo Poliziano (Fabula di Orfeo, 1494), Robert Browning e Rainer Maria Rilke. Nel XX secolo molti scrittori hanno ipotizzato che il voltarsi di Orfeo sia stato intenzionale. Così in Jean Cocteau, ossessionato da questo mito lungo tutta la sua parabola artistica, che, nel 1925, diede alle stampe l'opera teatrale Orfeo, in cui si legge: 

 Ho perso l'equilibrio apposta, ho voltato la testa apposta, e proibisco che mi si contraddica. […] Mi rallegro io, di aver girato la testa apposta verso mia moglie.

 Nel dialogo di Cesare Pavese, L'inconsolabile, Orfeo si confida con Bacca: trova sé stesso nel Nulla che intravede nel regno dei morti e che lo sgancia da ogni esigenza terrena. Ormai totalmente estraneo alla vita, egli ha compiuto il proprio destino. Euridice, al pari di tutto il resto, non conta più nulla e non potrebbe che allontanarlo dalla propria realizzazione. Euridice ha ormai nelle fattezze il gelo della morte che ha sperimentato e non rappresenta più l'infanzia innocente con cui il poeta la identificava. Voltarsi diviene una esigenza che non si può eludere: 

 L'Euridice che ho pianto era una stagione della vita. Io cercavo ben altro laggiù che il suo amore. Cercavo un passato che Euridice non sa. L'ho capito tra i morti mentre cantavo il mio canto. Ho visto le ombre irrigidirsi e guardar vuoto, i lamenti cessare, Persefone nascondersi il volto, lo stesso tenebroso-impassibile, Ade, protendersi come un mortale e ascoltare. Ho capito che i morti non sono più nulla.

Orfeo si volta volontariamente perché comprende che salverebbe Euridice solo per perderla ancora: 

 Pensavo che avrei dovuto tornarci, che ciò ch'è stato sarà ancora. Pensavo alla vita con lei, com'era prima; che un'altra volta sarebbe finita. Ciò ch'è stato sarà.

Agostino Carracci - Orfeo e Euridice ca. 1590-1595

Più cinico, l'Orfeo delineato da Gesualdo Bufalino intona, nel momento in cui si volta, la famosa aria dell'opera di Gluck: Che farò senza Euridice?, e non sembrava che improvvisasse, ma che a lungo avesse studiato davanti a uno specchio quei vocalizzi e filature, tutto già bell'e pronto, da esibire al pubblico, ai battimani, ai riflettori della ribalta.8  La donna capisce: il gesto era stato premeditato, per acquisire gloria personale, attraverso una finta espressione di dolore, nell'esaltazione delle proprie capacità artistiche. 

1 Apollonio Rodio, Argonautiche. 

2 Seneca, Ercole sul monte Eta

3 Angelo Poliziano, Fabula di Orfeo

4 Il lieto fine viene giustamente considerato una falsificazione poiché il mondo, quale noi lo conosciamo, quale lo abbiamo visto, non offre che un'unica conclusione: la morte, la disintegrazione, lo smembramento e la crocifissione del nostro cuore con la scomparsa di coloro che abbiamo amato. (Joseph Campbell, L'eroe dai mille volti). 

5 Publio Ovidio Nasone, Le Metamorfosi, X. 

6 Jean Cocteau, Orphée. 

7 Cesare Pavese, L'inconsolabile, in Dialoghi con Leucò

 8Gesualdo Bufalino, Il ritorno di Euridice in L'uomo invaso, 1986. 

Izanagi

Una storia molto simile a quella di Orfeo è narrata nella raccolta giapponese Racconti di Vicende Antiche: la discesa agli inferi di Izanagi. Izanagi ("colui che invita") e Izanami ("colei che invita"), fratello e sorella e insieme sposi divini, sono gli dèi creatori nella religione shintoista. 

La nascita dell'ultimo loro figlio, il dio del fuoco Kagu-tsuchi, costò la vita a Izanami. Izanagi, adirato, uccise il figlio e scese nell'Inferno, la Terra del Fiume Giallo, con l'intento di condurre nuovamente la sua compagna nell'Onogaro-shima. Izanami lo accolse sulla soglia dell'Inferno, ed egli le disse:

"O Augusta, o mia graziosa sorellina! Le terre che abbiamo costruito insieme non sono ancora finite; perciò, torna indietro!" Rispose Izanami: "Peccato davvero che tu non sia venuto prima! Ho mangiato il cibo della Terra del Fiume Giallo.9 Nondimeno, poiché sono commossa dall'onore che la tua Augusta Persona mi ha fatto venendo qui, mio grazioso fratello, io desidero tornare indietro. Anzi, discuterò a fondo la questione con gli dèi del Fiume Giallo. Sta' attento, non guardarmi!" Izanami si ritirò nel palazzo, ma, poiché vi si tratteneva troppo a lungo, il fratello non ebbe la pazienza di attenderla. Spezzò uno dei denti estremi del pettine conficcato nel ciuffo sinistro della sua augusta chioma e, accesolo come una piccola torcia, si inoltrò nel palazzo e si guardò attorno. Ciò che vide fu uno stuolo di vermi ed Izanami che stava imputridendo. Atterrito da questo spettacolo Izanagi fuggì. Izanami gli disse: "Mi hai coperta di vergogna." Izanami inviò all'inseguimento del fratello la Brutta Femmina dell'inferno. Izanagi, mentre correva, si tolse il berretto nero e lo gettò via. Il berretto si trasformò immediatamente in un grappolo d'uva e mentre la sua inseguitrice si fermava a mangiarlo Izanagi continuò la corsa. Ma la donna riprese ben presto l'inseguimento guadagnando terreno. Izanagi spezzò il fitto pettine conficcato nel suo ciuffo destro e lo gettò via. I denti del pettine si trasformarono immediatamente in germogli di bambù e mentre la donna si fermava a raccoglierli e mangiarli l'eroe proseguì la corsa. A questo punto la sua giovane sorella inviò ad inseguirlo le otto divinità tonanti, con millecinquecento guerrieri del Fiume Giallo. Izanagi, sguainata la spada dalle dieci else che gli pendeva augustamente al fianco, continuò a fuggire agitando la spada dietro di sé. Ma i guerrieri non cessavano di inseguirlo. Giunto alla frontiera fra il mondo dei vivi e la terra del Fiume Giallo, Izanagi prese tre pesche che colà crescevano, attese, e quando i guerrieri gli furono vicini le gettò contro di loro. Le pesche del mondo dei vivi atterrirono i guerrieri della terra del Fiume Giallo che si volsero e fuggirono. 

Finalmente si mosse l'Augusta Izanami in persona. Izanami raccolse un masso che soltanto mille uomini avrebbero potuto sollevare e con quello bloccò la strada. Fratello e sorella rimasero in piedi l'uno di fronte all'altra, divisi dal masso, e si salutarono. Disse Izanami: "O mio grazioso fratello, o Augusto! Se continuerai a comportarti in questo modo, sarò costretta a provocare ogni giorno la morte di mille uomini del tuo regno!" Rispose Izanagi: "O mia graziosa sorellina, o Augusta! Se farai questo, io farò in modo che ogni giorno millecinquecento donne partoriscano! 10 

La conclusione che lo storico delle religioni Joseph Campbell11 trae dalla vicenda è questa: Izanagi aveva visto più di quanto potesse sopportare, aveva perso la propria ignoranza della morte, ma, grazie alla sua volontà di vivere, riuscì a sollevare tra sé stesso e la morte un masso, che rappresenta il velo protettivo che noi tutti teniamo costantemente fra i nostri occhi e la tomba.  

9 Anche nella mitologia greca, a Persefone era bastato mangiare un seme di melograno negli Inferi per rimanervi legata per sempre. 

10 Racconti di Vicende Antiche

 11 Joseph Campbell, L'eroe dai mille volti